l boss di Bari Savino Parisi non può usufruire della liberazione anticipata perché le ultime e recenti condanne sono “indice della inalterata posizione di vertice all'interno del gruppo criminale di appartenenza e risultano, quindi, incompatibili con il mantenimento del beneficio”. Sono le motivazioni con le quali la Corte di Cassazione ha motivato la decisione di aprile scorso di rigettare il ricorso del mammasantissima di Japigia, confermando l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Perugia di revoca della liberazione anticipata concessa al boss.
La revoca
Una revoca che è costata al capo clan di Japigia un allungamento dei termini espiazione della pena fino a maggio 2026, quindi tra poco meno di tre anni. Il Tribunale di Perugia aveva sottolineato la “forza carismatica del capo”, talmente “spiccata che, quando questi entra in carcere, i progetti di pacificazione tra gruppi che il Parisi stava portando avanti vengono ultimati dal suo luogotenente con Parisi garante pur se detenuto”.
Nei mesi scorsi i giudici della Suprema Corte hanno detto no al capo clan: “E’ opportuno ricordare - si legge nelle motivazioni della Cassazione - che ai fini della revoca della liberazione anticipata per delitto non colposo commesso dal condannato nel corso dell'esecuzione della pena, spetta al Tribunale di sorveglianza la valutazione dell'incidenza del reato sull'opera di rieducazione intrapresa, nonché il grado di recupero fino a quel momento manifestato e la verifica di ascrivibilità del fatto criminoso al fallimento dell'opera rieducativa o a un'occasionale manifestazione di devianza”.