Ferruccio De Salvatore, procuratore dei minori a Bari: «La criminalità giovanile è in aumento. Sempre più violenza»

Ferruccio De Salvatore, procuratore dei minori a Bari: «La criminalità giovanile è in aumento. Sempre più violenza»
di ​Luigi LUPO
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Mercoledì 24 Gennaio 2024, 07:41 - Ultimo aggiornamento: 07:43

«L'incremento della criminalità giovanile è notevole in tutto il distretto compreso la città di Bari. I reati sono sempre più scatenati da aggressività e violenza». Non parla esplicitamente di baby-gang ma evidenzia l'esistenza di gruppi sprezzanti della legge Ferruccio De Salvatore, procuratore dei minorenni della Repubblica del capoluogo pugliese. «Al momento - spiega - il discorso sulle baby gang si riduce a elementi gruppali, cioè reati in concorso nei confronti di altri minori o adulti».
 

Procuratore, perché non possiamo parlare di baby-gang?
«Se vogliamo intendere la baby gang come associazione organizzata, con un suo capo, una sua gerarchia interna, seppure rudimentale, e che si prefigge un piano criminoso come ad esempio accade in altre città del nord per il controllo delle piazze di spaccio a Bari non se ne può parlare. Se vogliamo indicare gruppi di ragazzi che si riuniscono la sera per andare a percuotere o a molestare altri ragazzi o i passanti per impossessarsi di piccoli beni, come il cellulare o il portafogli che contiene anche solo 10 euro, questo è un fenomeno riscontrabile nel nostro distretto».
Quali sono le aree più calde?
«Sicuramente il Foggiano ma c'è da sottolineare l'area di Molfetta. Abbiamo fissato per febbraio un incontro con il sindaco, allargato alle forze di polizia, per stabilire un'unità di intervento fissa sui minori. Così come avviene a Bari. Proprio per intervenire precocemente sulle condizioni di rischio e di disagio che possano portare i minorenni a compiere reati o a entrare nel circuito criminale. E poi il Foggiano esprime una criminalità giovanile molto aggressiva».
Come agite quando vi trovate di fronte a minori impegnati in attività criminali come lo spaccio?
«Nel caso di minori che sono vicini alle organizzazioni criminali o che fanno parte di famiglie mafiose, bisogna seguire il doppio binario. Si deve seguire la via penale con tutti gli strumenti del processo minorile. E se si riesce ad agire preventivamente, si può operare su due linee. Prima ancora che il giovane commetta un reato, se abbiamo la prova che viva in un ambiente ad altissimo rischio, possiamo capire se intervenire sui genitori. Non è facile. I minori devono, per quanto possibile, essere mantenuti nella propria famiglia anche se si tratta di un nucleo che appartiene ad un ambiente malavitoso o inserita nella criminalità. Il Csm si è pronunciato nel 2017 con una delibera molto importante: è possibile intervenire con un procedimento ablativo della potestà genitoriale quando si dimostra che il bambino viene indottrinato. In quel caso, possiamo agire per recidere i legami. E procedere poi in ambito civile. È sempre molto difficile trovare l'indottrinamento».
A Bari, e nel distretto di sua competenza, riuscite a prevenire il coinvolgimento dei figli nella mentalità mafiosa dei genitori o delle famiglie?
«Abbiamo alcuni casi di minori che sono stati affidati ai servizi sociali ma, rispetto all'esperienza degli anni passati a Reggio Calabria, dove molti sono stati sottratti alle famiglie e portati in comunità anche fuori dalla regione. Qui è più difficile. Perché c'è un tipo di mafia più familistica che ha una forte protezione nei confronti dei bambini. I servizi difficilmente riescono a scardinare e dimostrare il presunto indottrinamento. Noi abbiamo un protocollo d'intesa sottoscritto tra la Procura dei minorenni e la Direzione distrettuale antimafia finalizzato ad avere un quadro della situazione e uno sguardo rapido. Trasmettiamo alla Dda tutti quei reati che possono costituire elementi spia: dall'uso di armi all'utilizzo di grossi quantitativi di sostanza stupefacente».
Aumentano di quantità e potenza, cambiano e si diffondono sempre più tra i giovani sostanze stupefacenti pesanti. Spesso il consumo porta a un ingresso nella criminalità?
«Normalmente il consumo finisce con l'essere il primo gradino che poi porta all'attività di spaccio. Si inizia per provare ma poi serve denaro per acquistare. E ci si collega con soggetti pericolosi».
Insomma, il lavoro è tanto da compiere?
«C'è molto da fare. Il territorio del distretto è molto disomogeneo: ci sono aree industrializzate, altre depresse e caratterizzate da arretratezza culturale. Bari costituisce, nel complesso, una città dove le forze di polizia e i servizi sociali funzionano. Da un lato abbiamo un buon controllo del territorio e dall'altro servizi sociali efficienti. Anche grazie all'accordo tra la Procura dei minorenni e l'assessorato al Welfare: possiamo puntare su assistenti sociali che si alternano e che operano assieme ad agenti della polizia locale e alla nostra giudiziaria. Istituzioni che fanno rete e che cercano di prevenire l'ingresso del minore nel penale. Altre realtà sono più chiuse. La scuola deve svolgere il suo compito: quello di formare ed educare alla legalità. Noi abbiamo un protocollo con l'ufficio scolastico regionale che ci impegna a colloquiare con dirigenti e docenti per informarli su come comportarsi in situazioni di illegalità tra i banchi. Un'interazione scuola-giustizia molto importante».
 

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