Riceve sangue infetto e muore nel 1989: risarcimento bloccato da 35 anni. Il Tar obbliga il ministero

Riceve sangue infetto e muore nel 1989: risarcimento bloccato da 35 anni. Il Tar obbliga il ministero
di Luigi LUPO
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Venerdì 26 Gennaio 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 27 Gennaio, 14:52

Era stato operato nel luglio del 1989 all’ospedale Oncologico di Bari ma la trasfusione di sangue ricevuta avrebbe portato un uomo ad ammalarsi di epatite causandogli il decesso. I figli e la moglie hanno diritto a un risarcimento di complessivamente circa 1 milione che aspettano da ben 35 anni dopo l’ordinanza del tribunale civile. Adesso ci ha pensato il Tar a mettere fretta al Ministero della Salute ordinando di pagare. 

Una storia simile riguarda la moglie di un’altra vittima di una trasfusione: anche loro si sono rivolti al Tar, che ha accolto il ricorso, dopo che il dicastero della Salute è in ritardo con i risarcimenti. Vicende che la dicono lunga sui tempi della giustizia ma anche sugli inadempimenti della pubblica amministrazione nei confronti di persone che hanno subito perdite affettive e non solo economiche. Come il caso dell’uomo che, nel 1989, ricevette una trasfusione all’Oncologico di Bari. «Era il periodo – racconta Domenico Porcelluzzi, avvocato che assiste i parenti assieme ai colleghi Giuseppe e Angela Monterisi – in cui il sangue destinato alle trasfusioni non veniva testato. Spesso le sacche provenivano dall’estero con pochi controlli. E sono risultate infette da epatite o virus dell’Hiv».

Per fortuna sarebbe arrivata una legge a regolamentare il sangue da trasmettere e un’altra, la 210 del 1992, a prevedere risarcimenti per i soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile, a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati. Ma l’effettiva applicazione dei risarcimenti sembra ancora lontana, il più delle volte appesa ai tempi della giustizia. 
Quantomeno a giudicare dai numerosi procedimenti pendenti in sede civile, cause che poi arrivano fino al Tar perché il ministero spesso non liquiderebbe le somme entro i 120 giorni dopo l’ordinanza dei giudici.

La sentenza del Tar

La sezione di Bari, per la vicenda dell’uomo contagiato all’Oncologico, ha ordinato al ministero della Salute, nella sentenza pubblicata lo scorso 24 giugno, di procedere ai pagamenti stabiliti: si tratta, sommati le cifre per ognuno dei quattro parenti, che vanno dai 174 ai 228 mila euro, di circa un milione di euro. Mai arrivati sui loro conti bancari.
Il Tar ha nominato come commissario ad acta, il direttore generale della Direzione generale della vigilanza sugli enti e sicurezza delle cure, una figura che dovrà vigilare sull’esecuzione della sentenza. Nell’altro episodio simile, il ministero è chiamato a pagare il risarcimento nei confronti della vedova di un uomo deceduto a seguito di una trasfusione all’ospedale di Bisceglie nel 2015. Come spiega l’avvocato Porcelluzzi, sul cui tavolo di lavoro compaiono diverse esperienze della stessa materia, «alla moglie e agli eredi del defunto spetta una tantum, in questo pari a circa 77mila euro». La donna, anche lei contagiata di epatopatia, una malattia del fegato, ha chiesto e ottenuto dal tribunale civile di Trani il diritto all’assegno una tantum. Ma il ministero, anche qui, non ha ottemperato entro i 120 giorni. Il Tar si è pronunciato a favore della ricorrente e ha nominato il commissario per il rispetto della sentenza. Per l’avvocato Porcelluzzi, del foro di Barletta, non è una novità. «Ci sono tante pendenti e ricorsi da parte di figli o di parenti di persone decedute dopo trasfusioni di sangue infetto, o anche di eredi che possono anche non essere familiari. Spesso passano anni, decenni ma occorre che si arrivi il Tar per vedere concretizzarsi i pagamenti da parte del ministero della Salute», spiega il legale. Quasi tristemente abituato ai lunghi tempi della burocrazia e della giustizia. 
 

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