Bari e la Puglia, denaro riciclato e usura: tutti i numeri del pericolo

Bari e la Puglia, denaro riciclato e usura: tutti i numeri del pericolo
di Roberta GRASSI
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Sabato 25 Settembre 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 15:00

La criminalità organizzata si fa sempre più “holding”, espandendosi in settori non tradizionali. Una vocazione “affaristica” finalizzata al riciclaggio e all’usura amplificata dallo stato di crisi delle aziende e delle famiglie provocato dalla pandemia di Covid-19, come specificato nell’ultima relazione al Parlamento della Direzione investigativa antimafia che si riferisce al secondo semestre 2020. Lo confermano i dati più recenti, relativi alla prima parte del 2021, sul numero di segnalazioni sospette nelle operazioni di money transfer e sulla platea, in costante aumento, di imprese in difficoltà e in condizione di insolvenza. 


Quanto al rischio riciclaggio, la provincia di Bari segna un più 21 per cento, con 1.309 segnalazioni rispetto alle 1.079 del primo semestre 2020, secondo l’Uif, l’Unità di informazione finanziaria per l’Italia della Banca d’Italia. La media puglise è del più 26 per cento, tiene conto del più 55 per cento di Lecce e del più 35 percento della Bat, oltre che dell’aumento registrato in tutti gli altri territori della regione. 
Le statistiche fanno seguito a quanto disposto da una norma che impone ad un’ampia platea di soggetti, costituita da intermediari bancari e finanziari, altri operatori finanziari, professionisti, prestatori di servizi di gioco e altri di portare a conoscenza con una segnalazione le operazioni per le quali «sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o che comunque i fondi, indipendentemente dalla loro entità, provengano da attività criminosa». 


Il campanello d’allarme, che non sempre si traduce in una inchiesta o una denuncia ma dà avvio a verifiche mirate, è collegato all’entità e alla natura delle operazioni o ad altre circostanze che risultano meritevoli di approfondimento. 
Ma c’è un altro capitolo da analizzare, per comprendere come la malavita possa insinuarsi nel normale corso dell’economia, specie in tempi di emergenza sanitaria: le aziende in sofferenza. Sono l’1,8 per cento nel territorio barese, per l’esattezza 3.232. 
Meno nel Salento, 2.254 (1,3 percento), e a Brindisi e Taranto.
Si parla di società non finanziarie e famiglie produttrici che sono state segnalate come insolventi dagli intermediari finanziari alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia.

Una “bollinatura” che, per legge, non consente a queste aziende di accedere ad alcun prestito erogato dal canale finanziario legale. Pertanto, non potendo beneficiare di liquidità, rischiano, molto più delle altre, di chiudere o di scivolare tra le braccia degli usurai.


Capita alle società, ma anche alle famiglie. Lo ha dimostrato una inchiesta, condotta dalla guardia di finanza di Bari, denominata “Cravatte rosa”, che si è occupata di prestiti a strozzo richiesti per poche decine di euro. Per fare la spesa o per necessità primarie di altro genere. Vi sarebbero state anche azioni violente, messe in atto da donne. Un volto “rosa” dell’usura a cui è stato dato rilievo proprio nella relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia che ha puntato i riflettori sulle connessioni fra difficoltà economiche, covid e illegalità. 
Il teorema è sempre lo stesso, semplicissimo all’apparenza: dove c’è povertà si annida la criminalità organizzata in cerca di consenso. Il covid ha reso tutti più vulnerabili, dando nutrimento ai clan che hanno fatto in fretta ad organizzarsi e a mutare pelle.

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