«Folklore e spirito religioso», ecco perché Bari ama il suo Santo. Intervista all'arcivescovo Satriano

«Folklore e spirito religioso», ecco perché Bari ama il suo Santo. Intervista all'arcivescovo Satriano
di Beppe STALLONE
5 Minuti di Lettura
Domenica 7 Maggio 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 8 Maggio, 16:01

«Ci sono ragioni storiche, religiose, culturali, incastonate nel quadro di una serie di congiunture provvidenziali, che hanno fatto sì che Nicola, vescovo di Myra del lontano IV secolo, abbia continuato a pascere il popolo di Dio anche al di là dei confini geografici e cronologici del suo ministero. Nicola è ancora vescovo della Chiesa di Dio, della Chiesa universale, un pastore presente e vicino, un fratello a cui rivolgersi, un compagno di cammino, un intercessore, una guida. In tanti riusciamo a riconoscere in lui “uno di noi”, vicino ai bambini, alle donne, agli ultimi, a coloro che lavorano». L’arcivescovo di Bari-Bitonto, monsignor Giuseppe Satriano spiega così i motivi della grande popolarità di San Nicola.


Eccellenza, è possibile che la Chiesa cattolica, nonostante gli sforzi del Papa, non riesca a dialogare con quella ortodossa in modo da contribuire in qualche modo alla fine del conflitto russo-ucraino?
«Il dialogo non si è mai interrotto, soprattutto tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse che sono coinvolte in questa pagina difficile e dolorosa della nostra storia.

La Chiesa ortodossa non è un monolite, a volte risulta molto più semplice e cordiale il dialogo tra la Chiesa cattolica e le singole Chiese ortodosse, piuttosto che quello delle Chiese ortodosse tra loro. Gli accordi politici possono consegnarci la tregua, ma la pace vera è un’altra cosa. La pace è un dono che solo il Risorto può fare alle Chiese e che può essere accolto da cuori realmente disarmati». 

Torniamo a Bari. L’ atmosfera della festa ha da sempre caratterizzato questi giorni di maggio. Quanto resta dello spirito religioso rispetto allo spettacolo e al folklore? 
«Non credo che lo spirito religioso e gli aspetti folkloristici vadano radicalmente scissi. La fede non è un’idea astratta, ma l’esperienza di un incontro che si incarna nei linguaggi della gente, delle tradizioni, delle culture. L’amore non lo si può solo pensare; l’amore eccede i confini del cuore, va detto, va espresso, va annunciato, altrimenti non è amore. Il folklore è una manifestazione dell’amore dei baresi per San Nicola». 


Delle tante edizioni del corteo storico ne ricorda una che l’ha colpita particolarmente?
«È soprattutto da quando sono diventato Arcivescovo di Bari-Bitonto che sto entrando nell’atmosfera della festa di San Nicola, sinora a me sconosciuta. Posso dire che la sto gustando anno per anno con gli occhi del bambino, di chi guarda quello che accade come se fosse la prima volta. Tutto è una scoperta. E rimango piacevolmente colpito dalla grandezza dell’amore che i baresi hanno per il loro santo protettore, un amore che emerge non tanto nelle grandi manifestazioni, ma nella cura dei dettagli. Lo spettacolo dell’amore, infatti, non sta solo nella maestosità artistica del corteo storico, ma nella grandezza di un papà che porta il figlio sulle spalle e gli racconta la storia di San Nicola o di una mamma che, dopo una giornata di lavoro, esce ancora una volta di casa per accompagnare in strada le persone che ama a vivere la festa. Forse è proprio questo il corteo storico che mi piace di più».


Dei vari miracoli di San Nicola, quale è secondo lei quello più attuale e carico di significati?
«Mi ha sempre colpito di Nicola quello che potremmo definire un miracolo alla portata di tutti: il dono dei tre sacchetti d’oro come doti per le tre fanciulle che, altrimenti, sarebbero state condannate a una vita di prostituzione. La bellezza di questo gesto sta nel prodigio dell’accorgersi del bisogno dell’altro: Nicola si rende conto del bene che può fare e lo compie».
 

Eccellenza restiamo in tema di miracoli e immaginiamo che il vescovo di Myra appaia in questi giorni a Bari, cosa direbbe ai suoi baresi?
«Non so se San Nicola direbbe qualcosa; del resto nel suo ministero di vescovo non ha lasciato nulla di scritto. In un certo senso, non ne conosciamo la “voce”. Preferisco, allora, più che pensare a cosa direbbe, figurarmi il suo sguardo sulla città di Bari e sulla sua gente: uno sguardo aperto e lungimirante, ben saldo sull’orizzonte, che confida nel futuro; uno sguardo capace anche di rimproveri, laddove c’è bisogno di cambiare, e di infondere coraggio laddove c’è bisogno di crescere; uno sguardo spalancato, come quello della statua che lo rappresenta, attento a non perdere nessuno; uno sguardo capace di abbracciare tutti noi, per aprirsi, alla fine, senza bisogno di parole, in un caldo e accogliente sorriso».

© RIPRODUZIONE RISERVATA - SEPA

© RIPRODUZIONE RISERVATA