Processo Londra, la Segreteria di Stato del Vaticano chiede agli imputati danni per 177 milioni di euro. ​C'è anche don Mauro Carlino

Don Mauro Carlino
Don Mauro Carlino
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Venerdì 29 Settembre 2023, 11:46 - Ultimo aggiornamento: 12:06

«Il primo soggetto a essere stato danneggiato da questa vicenda è il Papa». Il palazzo di Londra? Un «investimento incompatibile col diritto canonico». Al termine dell'udienza del processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato e della compravendita del palazzo di Londra dedicata alle richieste delle parti civili, l'avvocato Roberto Lipari, che assiste lo Ior, ha chiesto «la condanna degli imputati e l'accertamento delle loro responsabilità penali e la loro condanna alla restituzione di quanto illecitamente sottratto». Tra loro c'è anche don Mauro Carlino, ex dell'Ufficio amministrativo e oggi parroco di Santa Croce a Lecce.

La richiesta del legare della segreteria di Stato

L'ex ministra della Giustizia, Paola Severino, legale della Segreteria di Stato - parte civile nel processo avviato sull'immobile di Londra -  in aula ha ricostruito dettagliatamente i momenti iniziali del disgraziato investimento. Secondo l'avvocatessa fu quello «il momento di passaggio, in cui c'è stato l'ingresso dei mercanti nel Tempio, consentito dal cardinale Becciu» che allora era sostituto della Segreteria di Stato, consentendo «di effettuare investimenti fuori da ogni ingerenza.

Lo stesso fondo di Mincione, da fondo di commodities diventa un hedge fund puro, ed è allora che si cominciano a distrarre risorse». Lo stesso immobile di Londra, dice, «è stato sovrastimato tra i 101 milioni e i 56 milioni di sterline, con danni per l'istituzione, che aveva il 45 per cento, tra i 45,5 milioni e i 25,5 milioni di sterline». 

Al termine del suo intervento Severino ha chiesto che gli imputati siano condannati al risarcimento dei «gravissimi danni» morali e reputazionali, che ha stabilito in 177 milioni e 818 mila euro, necessari secondo una consulenza tecnica per «una campagna di ristoro dell'immagine danneggiata» a livello mondiale. Ha chiesto anche la condanna a una provvisionale, da versare subito all'atto della condanna di primo grado, pari a 98 milioni 473 mila euro, e anche che la sospensione condizionale della pena sia subordinata al pagamento del risarcimento. Nel processo, i danni patrimoniali saranno chiesti dall'Apsa. 

Il processo ripreso dopo la pausa estiva

Nella Sala polifunzionale dei Musei Vaticani, il processo è ripreso dopo la pausa estiva e dopo che il 26 luglio scorso, al termine di una requisitoria durata sei udienze, il promotore di giustizia Alessandro Diddi aveva formulato le sue richieste d'accusa.

Le prossime udienze

Fino al 6 dicembre prossimo, sono in calendario altre 18 udienze, di cui le prime tre dedicate alle conclusione delle parti civili, quindi Ior, Segreteria di Stato, Apsa, Aif e monsignor Alberto Perlasca, e di seguito altre 15 per le richieste delle dieci difese. A seguire, quindi prima di Natale, si andrà alla sentenza, quasi due anni e mezzo dopo l'inizio del processo in aula.

Dieci imputati, ecco le richieste:

Lo scorso 26 luglio il promotore di giustizia Diddi aveva chiesto per i dieci imputati complessivamente 73 anni e un mese di reclusione, più pene interdittive e pecuniarie di vario tipo. 

  • Per il cardinale Angelo Becciu 7 anni e 3 mesi di reclusione;
  • per l'ex presidente Aif René Bruelhart 3 anni e 8 mesi;
  • per monsignor Mauro Carlino, ex dell'Ufficio amministrativo, 5 anni e 4 mesi; 
  • per il consulente finanziario Enrico Crasso 9 anni e 9 mesi;
  • per l'ex direttore Aif Tommaso Di Ruzza 4 anni e 3 mesi;
  • per l'ex manager Cecilia Marogna 4 anni e 8 mesi di reclusione;
  • per il broker Raffaele Mincione 11 anni e 5 mesi;
  • per l'ex funzionario della Segreteria di Stato Fabrizio Tirabassi 13 anni e 3 mesi di reclusione;
  • per l'avvocato Nicola Squillace 6 anni;
  • per l'altro broker Gianluigi Torzi 7 anni e 6 mesi di reclusione.

I reati in discussione vanno, a vario titolo, dall'abuso d'ufficio al peculato, dall'estorsione alla corruzione, dalla truffa all'appropriazione indebita, fino al riciclaggio, all'auto-riciclaggio e alla subornazione di testimone

I fondi sottratti devono tornare nella disponibilità del Papa

In aula l'avvocato Lipari ha ripetuto che i fondi sottratti «devono essere rimessi nella piena disponibilità del Pontefice per le necessità della Chiesa. Questi fondi siano depositati presso lo Ior». 

«In questo processo abbiamo visto tentativi di arricchimento personale, progetti di estrazione petrolifera in Angola, abbiamo visto il ricorso a strumenti finanziari nei quali l'amministratore di beni ecclesiastici perdeva ogni possibilità di controllo e l'impiego del denaro della Chiesa senza alcun controllo e accuratezza - ha elencato il difensore della parte civile Ior nelle sue quattro ore di arringa -, tutto in gestito in modo autoreferenziale da un monsignore esperto in diritto canonico e un commercialista privo di qualsiasi esperienza in investimenti finanziari. Abbiamo visto l'impiego di soldi senza due diligence, abbiamo visto ricatti estorsivi, abbiamo visto interni solidarizzare con gli estorsori, abbiamo visto ingenti risorse economiche gestite senza tenere conto dei vincoli imposti dai donanti». 

Lo Ior parte civile

Lo Ior si è costituito parte civile per tutti i capi d'imputazione e per tutti gli imputati. Si è quindi soffermato sui vari reati, come il peculato, che «ha offeso il sacrificio di chi ha fornito le offerte alla Chiesa». Peculato, tra l'altro, ha detto, che ha riguardato non solo le offerte dei fedeli, ma anche gli utili messi a disposizione ogni anno dallo Ior e accantonati dalla Segreteria di Stato per la disponibilità del Papa e della Santa Sede. «Non era solo l'Obolo di San Pietro, che non dura - ha spiegato -: quindi o i fondi dello Ior o i lasciti posti a riserva. Questi sono i fondi intaccati dal cardinale Becciu e da Fabrizio Tirabassi per indebitarsi». A proposito del palazzo di Londra, il legale ha parlato di un «investimento incompatibile col diritto canonico». «Quell'investimento nel fondo Athena di Raffaele Mincione non era in linea col profilo dell'investitore - ha sottolineato -. Non solo quello ipotizzato nel petrolio, ma non lo era anche investire in un fondo chiuso in cui tutto il potere è in mano al gestore. La Segreteria di Stato non poteva fare un investimento speculativo, non era un investitore qualificato». 

Lipari ha anche contestato l'aver ipotizzato l'investimento petrolifero in Angola, considerando «i danni all'ambiente, il fatto che fosse un Paese accusato di mancato rispetto dei diritti umani, e anche i presunti rapporti tra la Falcon Oil e un trafficante d'armi francese, Pierre Falcone». Sulla corruzione, Lipari si è soffermato sui rapporti tra Mincione ed Enrico Crasso. Sulla truffa, l'ha ricondotta alla «manipolazione del valore dell'immobile, aumentati di 101 milioni di sterline nell'arco di un anno e mezzo» (ha ricordato due perizie stilate lo stesso giorno in cui c'era una differenza di prezzo di 49 milioni di sterline). «Perché la Segreteria di Stato doveva pagare 230 milioni, quando Mincione ce l'aveva in bilancio a 208 milioni?», ha chiesto. Infine ha parlato dell'estorsione, relativa alla trattativa con Gianluigi Torzi perché uscisse dalla proprietà, con in questo caso anche il ruolo dell'allora vertice dell'Aif, il presidente René Bruhlart e il direttore Tommaso Di Ruzza, accusati di abuso d'ufficio, «che non hanno solo violato la legge, ma hanno asservito il loro ruolo, ha asservito la funzione pubblica dell'Aif per un fine non lecito». E in definitiva «hanno portato al ridicolo il sistema finanziario vaticano».

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