Ilaria e Matteo: i due volti della Giustizia in Europa e le distanze tra Italia e Ungheria (da soppesare)

Ilaria Salis detenuta a Budapest, in Ungheria
Ilaria Salis detenuta a Budapest, in Ungheria
di Rosario TORNESELLO
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Venerdì 2 Febbraio 2024, 12:12 - Ultimo aggiornamento: 14:00

Quanto dista l'Ungheria dall'Italia? E quanto noi dallo spirito delle leggi, dall'evoluzione della riflessione sui delitti e sulle pene? Dalle norme che proviamo a individuare nella Costituzione? Dalla finalità rieducativa, non solo retributiva, della condanna? I giorni intrecciano le notizie e riannodano le questioni: Ilaria Salis da una parte, Matteo Di Pietro dall'altra. Fatti noti. Profondamente diversi. 

Lei, 39 anni, insegnante di scuola elementare a Monza, attivista antifascista, in cella e sotto processo a Budapest dall'11 gennaio 2023 con l'accusa di aver aggredito alcuni manifestanti (uomini: c'è spesso un lato buffo nelle pieghe della storia), esponenti di estrema destra; nuovamente trascinata in aula in catene, con ceppi ai polsi e alle caviglie, per un'imputazione tutta da verificare.

Rischia 20 anni, ha rifiutato il patteggiamento a 11 dichiarandosi innocente; la controparte (lesioni "potenzialmente letali" ma di fatto lievi) neppure ha presentato formale denuncia. 

Lui, 20 anni, youtuber romano del gruppo Theborderline (un nome, un programma), condannato l'altro giorno con patteggiamento a 4 anni e 4 mesi per l'incidente stradale in cui – il 14 giugno 2023 – morì a Casal Palocco, periferia della capitale, il piccolo Manuel, 5 anni, travolto in auto con madre e sorellina: il giovane, a bordo di un Suv Lamborghini, sfrecciava a 120 km orari su un tratto di strada con limite a 50. Con gli altri componenti del gruppo era impegnato in una challenge, una di quelle sfide senza senso e tristemente note: girare per 50 ore sulle strade di Roma, filmando tutto. Fino all'impatto fatale. Ha già scontato sei mesi ai domiciliari; la pena residua è inferiore ai 4 anni: per questa ragione non passerà neppure un giorno in galera. Può far indignare, e la cosa si comprende davanti alla morte di un bambino, ma è lo Stato di diritto. Il nostro Stato. 

Quanto dista l'Ungheria dall'Italia, allora? E noi da tutto il resto? Vediamo. Ogni nazione ha il suo sistema giudiziario, le sue regole, le sue norme (che è cosa diversa dal dire: "Ogni paese punisce come vuole"). Sono – sarebbero – i meccanismi della democrazia. Ma siamo nell'anno 2024 e ci muoviamo nel contesto dell'Unione Europea. Alcune modalità appaiono fuori dal tempo, oltre la ragione, ben al di là del necessario, del comprensibile, dell'umano, soprattutto. La vicenda Salis ha suscitato reazioni differenti, oltre a imbarazzanti commenti nella forma e nella sostanza (vedi sopra, ma è circolato e si è sentito di peggio, anche da rappresentanti istituzionali di primo piano, in campagna elettorale perenne e perciò forzatamente fuori misura). Tuttavia il governo, nelle figure della premier Meloni e del ministro degli Esteri Tajani, si è mosso, attivando i contatti ai massimi livelli, dal premier Orban fino all'ambasciatore ungherese a Roma. Forse Ilaria Salis potrà scontare la custodia cautelare ai domiciliari (impressionante la sua lettera dal carcere sulle condizioni della detenzione, sotto tutti i punti di vista); forse potrà scontare ai domiciliari anche l'eventuale condanna, ammesso che si arrivi a una pronuncia di colpevolezza (su questo, non giova esasperare clima e contrapposizioni). Resta che dentro ai confini dell'Unione Europea, che si vuole culla di civiltà, pur con Stati che ancora reclamano la supremazia dell'ordinamento interno rispetto alla normativa comunitaria, la giustizia è amministrata anche in queste forme. Inutilmente violente e afflittive.

E da noi? Coma va da noi? L'inaugurazione dell'anno giudiziario, appena celebrata in Cassazione e in tutte le sedi di Corte d'appello, ha posto l'accento su diversi temi. La carenza di magistrati, la lunghezza dei processi, il susseguirsi delle riforme (ma anche la mancanza di interventi incisivi per rendere più efficace e tempestiva la risposta di giustizia). Gli attacchi all'indipendenza della magistratura. L'insofferenza di una sua parte a restare all'interno del proprio ruolo. La pervasività delle cosche, tanto nella politica quanto nell'economia: nella politica, a maggior ragione alla vigilia di scadenze elettorali importanti e decisive; nell'economia, in considerazione dell'enorme flusso di denaro per i progetti del Pnrr. Ogni distretto ha aggiunto la propria particolarità territoriale. Ma tutte le relazioni, in tutte le sedi, a partire da quella letta dalla prima presidente della Corte di Cassazione Margherita Cassano alla presenza del capo dello Stato, tutte hanno sottolineato la disastrosa situazione delle carceri. Cominciando dai dati sul sovraffollamento, circostanza che relega il sistema detentivo a distanza intollerabile dalle finalità rieducative della pena e dai trattamenti che non possono essere contrari al senso di umanità, per arrivare al numero elevato di suicidi in cella (anche uno solo – in una struttura di custodia – sarebbe inaccettabile, mentre sono già 13 i decessi a gennaio). Un dato che, sommato ai procedimenti per ingiusta detenzione – oltre trentamila casi in trent'anni, per una spesa in indennizzi quantificata in un miliardo di euro –, descrive il quadro completo.

Torniamo alla domanda iniziale: quanto dista l'Ungheria dall'Italia? Molto su alcuni principi; moltissimo nell'immagine dei ceppi e del guinzaglio, da noi relegati in un passato per fortuna archiviato da un sussulto di civiltà (resta, indelebile, la foto di Enzo Tortora portato via in manette); ma meno, molto meno di quanto si vuol credere, per il rispetto della dignità delle persone finite in carcere. L'Italia sconta una tendenza al panpenalismo, alla traduzione delle azioni in reati, all'aumento delle fattispecie illecite, all'inasprimento delle pene sempre e comunque che – al di fuori di riforme capaci di deflazionare il carico sulle aule di giustizia e accelerare lo svolgimento dei processi – rischia di avvitare il sistema su se stesso, precludendogli qualsiasi forma di efficienza e, perciò, di efficacia. 

Ilaria Salis ha diritto a un processo rispettoso del suo essere insieme persona e imputata, come Matteo Di Pietro ha avuto il suo. Ma in un'Europa che si vuole moderna e civile, i due procedimenti dovrebbero tendere all'uniformità. Senza capziosamente immaginare la prima al posto del secondo e, soprattutto, il secondo al posto della prima. Da Cesare Beccaria in poi, la strada da percorrere è chiara. Di sicuro, lo è per la nostra Costituzione. Un po' meno per tutti gli altri. Italiani inclusi.
 

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