Croccolo, il dolore di Buccirosso: «Non è più possibile avere una carriera come la sua»

Croccolo, il dolore di Buccirosso: «Non è più possibile avere una carriera come la sua»
di Giovanni Chianelli
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Domenica 13 Ottobre 2019, 09:30 - Ultimo aggiornamento: 16:22

«Tengo a dire che detesto le celebrazioni e che parlerò di Carlo in modo non compiacente. Anche perché i complimenti è meglio riservarli a un uomo quando è in vita». Sceglie un registro molto franco Carlo Buccirosso nel commentare la scomparsa di Carlo Croccolo. I due attori hanno lavorato insieme nella seconda edizione de «I compromessi sposi», a inizio anni 2000, che vide Buccirosso esordire alla regia. Croccolo ebbe il ruolo di Don Abbondio: «Quello che mi colpì, in un ruolo molto delicato, fu la sua fame, la sua ambizione permanente, nonostante l'età e la carriera».
 

 


Partiamo dalla sua frase: secondo lei Croccolo non è stato sufficientemente celebrato in vita?
«Secondo me no. Non rispetto a una vicenda artistica tanto lunga, oltre sessant'anni, e così varia. Carlo ha fatto da spalla, da protagonista, da doppiatore, ha fatto cinema e teatro come pochi colleghi. Parlo proprio di quantità: per fare il curriculum di un attore di oggi bastano dieci minuti. Per lui non basterebbe una settimana. Forse oggi non è più possibile avere una carriera come la sua, in questo è irripetibile».

Avete lavorato insieme nella sua prima regia.
«Lo chiamai a sostituire Enzo Cannavale, un altro grande. Vide i nomi in cartellone e ne uscì un po' scettico. Mi disse Carle', qua stanno troppi giovani. Aveva questa diffidenza, probabilmente retaggio della sua generazione, gli chiesi di fidarsi. Lo fece e progressivamente cambiò posizione, almeno per quel lavoro. Lavorare coi ragazzi gli piacque molto».

 

Che idea si è fatto di lui?
«Penso che quanto ho raccontato dimostri qualcosa: la capacità, anche a una certa età, di riformare una propria convinzione. Questo consente freschezza mentale e fa il pari con un'ambizione artistica e professionale intatta, identica alla mia che avevo tanti anni in meno e che ero motivato dal debutto in regia. Uomo sincero fino alla durezza, e in questo ci pigliavamo, anche negli scontri. E poi furbo, capace di stare al mondo».
Ha parlato di scontri.
«Certo, perché no? Bisogna averli, sono formativi. Io mi sono scontrato spesso con i colleghi con cui lavoravo, su tutti Salemme, credo sia naturale quando il rapporto è sano. Per noi era un modo di dirci che ragionavamo alla pari, con stima reciproca e voglia di dare il massimo per il lavoro. Carlo non aveva un carattere facile ma neanche io, perciò trovammo entrambi un interlocutore ideale. Era un uomo titanico, fortissimo, capace di piegare a sé una carriera intera. Il fatto che continuasse a lavorare lo testimonia».
Quali momenti della sua sterminata carriera le vengono in mente?
«Potrei citare il suo lavoro con Totò o la sua parte nel Casotto di Citti, ma invece non ne indico nessuno in particolare. Perché voglio analizzarli tutti nel loro insieme: è impressionante la mole di cose e di vite che ha attraversato. Diceva di avere avuto tutto e ci credo. Vorrei ricordarlo come uno che ha preso il massimo - nel bene e nel male - dalla vita di attore: viaggi, avventure, amicizie straordinarie con gente famosa, nottate folli. E anche quei momenti amari che ti fanno sentire vivo».
Le parlò di Marylin Monroe?
«Certo, era tra i suoi aneddoti preferiti durante le prove. Capito? Stiamo parlando di uno che aveva cenato con Marylin! Dà un'idea del personaggio, no? Poi, se è vero che ci sia stata o meno tra di loro una relazione non so dirlo, ma se lo dice uno come Carlo è quanto meno verosimile. Immaginate sei io andassi dicendo che sono stato con, che ne so, Monica Bellucci: non mi crederebbe nessuno. A Carlo bisognava credere, a prescindere dalla realtà, per poi godersi il racconto».
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