Carlo Croccolo e la delusione per il mancato museo di Totò

Carlo Croccolo e la delusione per il mancato museo di Totò
di Donatella Longobardi
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Sabato 12 Ottobre 2019, 11:18
«Il Museo per Totò? S’ha da fare, è ora di dare a Totò quello che merita. Ma non ci spero più». È scettico Carlo Croccolo, al fianco del Principe de Curtis in sette memorabili film, tra i quali “Signori si nasce”, amico e “figlio” d’arte del grande comico napoletano cui prestò anche la voce. Negli ultimi anni Totò quasi cieco volle che l’attore lo doppiasse. Un rapporto e un’amicizia che stanno per confluire in un libro, “Totò ed io” nel quale Croccolo, alla vigilia dei novant’anni, vuole ristabilire alcune verità rispetto alle troppe ‘leggende’ che circondano la vita e l’arte del grande personaggio di cui il 15 aprile si celebrano i 50 anni dalla morte. Celebrazioni che vedono divisi Comune i e Regione. Mentre suscita nuove polemiche il progetto di individuare nuovi spazi adatti ad ospitare un grande museo per Totò e adibire i locali di Palazzo dello Spagnolo - destinati all’esposizione fin dal 1995, ma mai completati – a luogo di aggregazione per i giovani del rione Sanità.

Allora Croccolo, museo si, no e dove?
«Secondo me sì. Certo la Sanità, il quartiere dove era nato, sarebbe il luogo ideale. Ma Totò va rivalutato nel modo giusto».

In che senso?
«Nel senso che oggi se lo contendono, chi vuole celebrarlo da una parte, chi dall’altra. Tutti conoscono i mille Totò. La verità è che Totò era arrabbiato con quelli che ‘fanno le cose’. A lui, da vivo, non hanno mai riconosciuto niente. Io almeno ho vinto un David di Donatello, lui nulla. Pensi che è venuto un periodo in cui i suoi film il sabato e la domenica venivano tolti dalle sale perché dicevano che la gente non li voleva vedere. Oggi tutti li conoscono a memoria! La sua non è stata sempre una vita facile, c’erano in giro troppi cretini».

Beh, anche oggi, a cinquant’anni dalla morte, i problemi non mancano.
«Il fatto è che Napoli dimentica facilmente i suoi personaggi migliori, i suoi artisti. Sono molto rammaricato, ieri hanno celebrato in città i funerali di Pasquale Squitieri, con mia moglie Daniela Cincotti gli eravamo molto affezionati, io avevo fatto con lui un film molto controverso ‘Li chiamarono... briganti!’. Ebbene, a salutarlo c’era pochissima gente. Beh, anche Totò è stato spesso trascurato».

Ma secondo lei, Totò cosa penserebbe delle iniziative di questi giorni?
«Io penso che gli sarebbero piaciute. Sarebbe stato felicissimo anche del museo. Lui aveva tanta voglia di andare verso la gente e voleva che la gente andasse verso di lui».

Ma crede che il museo si farà?
«Dopo più di vent’anni di inutili lavori e ora la decisione di cambiare progetto? Sinceramente no. Per questo sono diventato canadese».

Lei ha vissuto molti anni in Canada, è così?
«Già, scappai dall’Italia. Fu proprio Totò a farmi tornare quando mi chiamò perché lo doppiassi. Io non lo imitavo, avevamo lo stesso timbro di voce. Nel ‘56 l’avevo doppiato in francese ne ‘La legge è legge’ La loi c’est la loi, con Fernandel. Lui se lo ricordò e volle che fossi io a prestargli la voce nelle scene girate in esterno, lui non vedeva e non riusciva a doppiarsi da solo. Diceva che avevamo gli stessi tempi comici. E pensi, c’è chi ha scritto alla Rai sostenendo che non era vero».

Lei racconta che su Totò circolano imprecisioni.
«Non faccio nomi. Ma c’è stato chi ha avuto interesse ad alimentare bugie. Come il fatto che lui improvvisasse sul set».

Non è vero?
«Assolutamente no. Totò era un grande professionista e lavorava da professionista. E poi non sarebbe stato possibile improvvisare su un set dove c’erano una ventina di persone, se uno andava a braccio gli altri sarebbero restati spiazzati. Solo pochissime volte aggiungeva qualche battuta, permetteva che solo Peppino De Filippo facesse altrettanto. Totò non amava i dilettanti. Racconto un aneddoto. Totò andava a Cinecittà con il suo autista, all’ingresso lo aspettava un uomo che gli urlava: ‘Principe, principe, io amo il teatro!’. E questo per tre, quattro giorni. Il quinto si scocciò e disse all’autista di fermarsi. ‘Allora – disse alo sconosciuto – tu ami il teatro, ma il teatro ama te? No. Allora lascialo in pace’. Per dire che prendeva poco seriamente certe cose, sosteneva che bisognasse studiare e soffrire, altrimenti non si poteva far ridere».

E qual era il suo metodo?
«Quando aveva il copione naturalmente lo cambiava, lo riscriveva. Sul set riuniva tutti nella sua roulotte e si ripeteva a memoria, come a teatro. Quando si era pronti si girava. A quelle riunioni partecipavo anch’io che ebbi l’onore di fargli da spalla in diverse occasioni. Era molto severo, dopo due film con piccole particine mi promosse. Poi insieme scrivemmo anche una sceneggiatura, ‘Fidanzamento all’italiana’. Non se ne fece un film, non trovammo un produttore».

Lei prenderà parte alle celebrazioni del cinquantenario?
«Mi dimenticano regolarmente».
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