Disagio mentale, il professore di Yale James Frederick Leckman: «Problema in crescita nei giovani, spesso ignorato»

Il docente di psichiatria infantile in Italia per l’evento di Fondazione Child e Telefono Azzurro: «Aumentano anche gli istinti suicidi. Servono strutture adeguate sul territorio»

Il professore James Frederick Leckman
Il professore James Frederick Leckman
di Lorena Loiacono
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Giovedì 14 Marzo 2024, 07:20 - Ultimo aggiornamento: 07:24

Depressione, ansia e disturbi comportamentali: nel mondo un adolescente su sette presenta problemi di salute mentale, sono 9 milioni solo in Europa.

Un tema allarmante, analizzato durante il 17° Seminario Internazionale di Formazione in Psichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza promosso da Fondazione Child e Telefono Azzurro, a cui hanno partecipato massimi esperti mondiali della neuropsichiatria e psichiatria infantile.

James Frederick Leckman, professore di psichiatria infantile, psicologia e pediatria all’Università di Yale, si tratta di un fenomeno in aumento?

«Purtroppo sempre più bambini sono affetti da disturbi mentali. Diventa fondamentale ascoltare le loro voci per intercettare e rispondere ai lori bisogni. Il benessere mentale è uno dei temi più importanti al giorno d’oggi. E la salute mentale nei bambini e negli adolescenti è spesso ignorata perché le persone non vi prestano attenzione o si vergognano perché c’è uno stigma al riguardo. Abbiamo il dovere di occuparci di loro».

Da cosa nascono questi problemi?

«Oltre ai conflitti militari in Ucraina, Palestina, Israele e oltre, ci sono tante famiglie e bambini che vivono in povertà e senza risorse adeguate in tutto il mondo. I motivi possono essere diversi».

Il suicidio è la principale causa di morte tra i giovani di 15-19 anni, una strage silenziosa?

«Purtroppo un numero sempre maggiore di adolescenti è coinvolto in comportamenti suicidi.

Esiste un’enorme differenza tra ragazzi e ragazze: quelli che hanno maggiori probabilità di suicidarsi sono i ragazzi e i giovani adulti, ma in realtà le giovani donne sono quelle che hanno maggiori probabilità di avere un’intenzione suicida che può essere piuttosto grave».

È difficile parlare di suicidi tra i giovani, come si può trattare l’argomento?

«Innanzitutto, il modo di informarsi è essenziale: spesso i ragazzi si informano da soli e non sempre la qualità delle informazioni che trovano in rete è adeguata. È fondamentale conoscere i servizi disponibili nella loro comunità per un aiuto concreto. Sono le nuove generazioni e dobbiamo trovare un modo per aiutarle nelle loro vite e nelle loro carriere».

Come si può intervenire per aiutare un ragazzo, prima che sia troppo tardi?

«È molto importante stabilire un contatto con il giovane a rischio e fornire i servizi disponibili. Il dialogo è il punto di partenza per un’azione concreta, per evitare che la persona si senta isolata. Se, per esempio, il giovane si è allontanato dalle sue reti sociali e si impegna meno nel lavoro e nello studio, è necessario sottoporlo a una valutazione».

In Italia i giovani si vergognano di chiedere aiuto a uno specialista, come si supera questo tabù?

«Sappiamo quanto i social network siano presenti nella vita dei più giovani. Una possibilità sarebbe quella di intervistare sui social media, con le dovute attenzioni, un ragazzo che ha vissuto un tentativo di suicidio. Attraverso le esperienze dirette si possono comprendere maggiormente alcuni comportamenti».

Quali sono i luoghi migliori per fare prevenzione?

«La scuola è sicuramente uno dei luoghi principali per fare prevenzione, spesso si deve partire da lì ma nelle comunità devono essere disponibili le strutture cliniche per affrontare in maniera adeguata questo tema».

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