I Comuni e la difficoltà nelle candidature a sindaco. Come cambia la geografia politica dell'Italia

I Comuni e la difficoltà nelle candidature a sindaco. Come cambia la geografia politica dell'Italia
di Franco CARDINI
4 Minuti di Lettura
Venerdì 28 Maggio 2021, 05:00

Pare sia di gran moda il ricordo nostalgico, se non addirittura il rimpianto, dell’un tempo esecrata “Prima Repubblica”. È in buona misura comprensibile. Per noialtri che abbiamo ormai parecchie primavere sul groppone, è ovvio: si era molto più giovani, con tutto quel che ne consegue. A ciò si aggiunge purtroppo altro. Per gran parte almeno di essa, le condizioni economiche e sociali erano - facendo tutte le “tare” del caso – un bel po’ migliori. Almeno fino agli “Anni di Piombo”, c’era più sicurezza. La situazione in genere, il livello etico in particolare, il senso della cosa pubblica, erano più accettabili. I pubblici servizi, come scuola e sanità, erano meno compromessi. E così via?... Ma era proprio così? O funziona il solito “effetto Amarcord”, il “Si stava meglio quando si stava peggio”, accompagnato magari dalla disincantata riflessione che in fondo era proprio vero che “si stava meglio perché si stava meglio”, punto e basta?

Il malanno come struttura portante

Andiamoci piano. Tutte le epoche sono, in fondo, epoche “di transizione”, con le incertezze e i fattori d’angoscia che ne conseguono. Certo, quando in pochi giorni ti arrivano addosso notizie tipo teleferica di Stresa, campi seminati di residui inquinanti in tutta l’Italia settentrionale (a proposito di “Terra dei Fuochi”, nevvero?..) e reti diffuse di “rispettabili pedofili violentatori”, imprecare contro il presente è inevitabile. Qui però parliamo di criminalità e di malavita. Guardiamo ai problemi strutturali. Il problema è che ormai certi malanni sembrano esser diventati a loro volta strutture di fondo del nostro “sistema”. Prendiamo la politica: in rapporto, ad esempio, con la crisi delle città: quelle grandi, alcune delle quali sembrano ormai al collasso, e quelle piccole, dove le disfunzioni gravi (dalla sanità ai trasporti alla sicurezza) sono la regola. La “grande” (?) politica sembra averle dimenticate, anzi esser fuggita da esse. Anni fa destò scalpore il fatto che un allor giovanissimo, fortunato e brillante amministratore (diventato in pochi anni prima presidente della provincia di Firenze, poi sindaco della città) abbandonasse con disinvoltura lo scranno in Palazzo Vecchio, che faceva di lui una personalità in vista in tutto il mondo, per “salire” al grado di segretario del PD: e molti si chiesero se davvero fosse sicuro di aver fatto un “salto di qualità”, e se lo avesse fatto verso l’alto e non viceversa. Il cursus honorum classico di un politico serio e di successo gli avrebbe consigliato di non mollare la prestigiosa capitale culturale e artistica d’Europa per cacciarsi nel Circo Barnum dei partiti che già cominciavano a perder credito. 

Cercasi sindaco disperatamente

Ma oggi il sindaco, delle grandi come delle piccole città, non vuol più farlo nessuno. Cacciarsi in certe avventure significa dover affrontare rischi e accettare la responsabilità si situazioni sempre più ingovernabili con un potere sulla carta cresciuto sin ai limiti dell’autocrazia ma di fatto ridotto ai minimi termini, stretto fra i debiti, le forme di vecchio e di nuovo contenzioso, le contese con i governi regionali e quello centrale, infine le pressioni del “governo profondo” dei detentori dell’effettivo potere economico, finanziario e mediatico. Le “mani sulla città” si sono maledettamente allungate e la politica invece si è allontanata dai centri demici grandi e piccoli e dai loro problemi. 

La crisi di rappresentatività

Una prova drammatica? Ecco qua: la rappresentatività e i suoi meccanismi. Prima delle varie riforme elettorali che hanno reso le segreterie dei partiti libere di disegnare la configurazione del parlamento inserendovi uomini e donne di loro fiducia – di fatto yes-men e yes-women – senza tenere in alcun conto né il consenso degli elettori né il radicamento territoriale degli eletti, non c’era deputato né senatore che non curasse il suo collegio, il che significava per i singoli sindaci poter contare dell’appoggio interessato di almeno una parte dei parlamentari circoscrizionalmente interessati alla loro città. Ciò costituiva, fra l’altro, motivo di forte collegamento tra vita delle singole città e corpo parlamentare. Ormai non è più così: sulle città “piovono” personaggi che in teoria dovrebbero rappresentarle mentre pensano solo agli equilibri dei partiti che li hanno insediati in parlamento: e ciò è motivo non ultimo del fatto che tra sindaci e politici di professione, tra amministrazioni cittadine e vita politica, l’alternativa è fra estraneità reciproca e guerra aperta. È più facile che un sindaco cerchi l’appoggio dei suoi colleghi anche politicamente lontani da lui che dalla personalità “nazionali” del suo stesso partito.

L'allontanamento dalle città

Che la politica abbia abbandonato le città, e queste voltato le spalle a quella, è conseguenza e al tempo stesso causa di un disagio profondo, di una disfunzione strutturale grave. E’ uno dei difetti ai quali la prossima e auspicabile riforma elettorale dovrebbe porre drasticamente rimedio riallacciando i gangli tra politica generale e tessuto cittadino. L’Italia era – lo è stato fin dai tempi della repubblica romana, dei centri demici etruschi e delle poleis megaloelleniche – la “terra delle mille città”. L’unità del 1860 aveva già colpito la sua millenaria struttura policentrica. La malapolitica l’ha ferita a morte. Ormai non è più nemmeno il caso di chiudere la stalla, in quanto i buoi sono fuggiti da tempo. Bisogna corre loro dietro e riportarceli. Ammesso che, intanto, non siano tornati ad essere troppo selvatici. 
 

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