Fontana, inchiesta camici: altro che donazione. Faro dei pm sui 25mila pezzi mai consegnati, blitz della Finanza alla Dama

Fontana, inchiesta camici: altro che donazione. Faro dei pm sui 25mila pezzi mai consegnati, blitz della Finanza alla Dama
di Giammarco Oberto
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Mercoledì 29 Luglio 2020, 05:01 - Ultimo aggiornamento: 13:44

Era già calato il buio, ieri, quando i militari della guardia di finanza si sono presentati nella sede della Dama spa, la società di Andrea Dini, il cognato di Fontana. Su mandato della procura, che indaga sull'affaire camici, le Fiamme Gialle hanno acquisito documenti che saranno passati al vaglio in controluce. Gli inquirenti sono a caccia di elementi probatori relativi alla mancata consegna di 25mila camici avvenuta dopo che la fornitura di 75mila pezzi si è trasformata, nelle intenzioni dichiarate, in donazione. Secondo gli inquirenti, sfumato l'affare con Aria per ragioni di opportunità politica, Dini avrebbe cercato di rivenderne una parte, senza esserci riuscito, a una Rsa del varesotto per 9 euro ciascuno.
Il blitz di ieri sera conferma un'accelerata nell'inchiesta della procura, nonostante la fretta di Fontana - dichiarata lunedì in Consiglio regionale - di «voltare pagina e andare oltre». Anche perché la questione donazione è ancora tutta da chiarire. Secondo le indagini, è stato l'ufficio legale di Aria, la centrale acquisti della Regione a dare parere negativo e di fatto a bloccare la donazione di camici da parte della Dama, di cui Dini è amministratore delegato e la moglie del governatore ha una quota del 10%. Secondo il codice, una donazione così sostanziosa necessita dell'atto pubblico notarile e della presenza di due testimoni. Quindi non era sufficiente la mail mandata da Dini lo scorso 20 maggio all'allora dg di Aria Filippo Bongiovanni per revocare il contratto di fornitura. In più, a contribuire al rigetto del cospicuo regalo è stato anche il conflitto di interessi.
I pm Luigi Furno, Paolo Filippini e Carlo Scalas, titolari del fascicolo con l'aggiunto Maurizio Romanelli hanno acceso un faro pure sul conto in Svizzera con depositati 5,3 milioni del presidente della Lombardia, denaro ereditato dalla madre e poi scudato, da cui sarebbe dovuto partire il bonifico di 250mila euro, poi bloccato in quanto operazione sospetta dall'Uif della Banca d'Italia, a titolo di risarcimento al cognato per il mancato profitto derivato dalla trasformazione della fornitura in donazione.


IL PUNTO Le parole in libertà di Attilio il gaffeur

Forse avrebbe bisogno anche lui di un Casalino parafulmine, il governatore Fontana. Perché prende la parola per chiarire e lascia dietro di sé più ombre che luci. L'ultima, per esempio, durante il discorso di autodifesa davanti al Consiglio regionale: «Dei rapporti negoziali tra Dama e Aria non ho saputo nulla fino al 12 maggio». La procura ha già accertato che il capo della segreteria di Fontana ne era informato già il 10.
Che il principe del Foro diventato governatore tenda a improvvisare si sapeva. Non era ancora a Palazzo Pirelli che se ne usciva con la «razza bianca a rischio». Prima le dice, poi fa retromarcia. Ma le parole a vanvera che erano peccati veniali in campagna elettorale sono diventate macigni quando è scoppiata l'emergenza del secolo. Fontana resterà per sempre il governatore che il 25 febbraio - due settimane prima del lockdown dell'Italia intera - se ne era uscito con il memorabile «la situazione è difficile, ma non così tanto pericolosa: questo virus è poco più di una normale influenza». E 24 ore prima aveva sganciato un'altra perla: «L'allargamento della zona rossa per il momento non è preso in considerazione». Poi, è andata come è andata: malissimo.

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