La notte di Corto Maltese nella Berlino di Weimar

La notte di Corto Maltese nella Berlino di Weimar
di Paolo Maria MARIANO
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Sabato 15 Ottobre 2022, 05:00

La dichiarazione è netta: «Io non sono “chiunque”. Il mio nome è Gustav Meyrink, teosofo, scrittore e immortale autore, tra gli altri capolavori, de Il Golem». L’interlocutore commenta: «Uhm. Di autori immortali ce ne sono pochi. Si ritenga soddisfatto che sopravviva il suo personaggio».

Questo scambio di battute si trova a pagina 30 del romanzo disegnato (graphic novel) “Corto Maltese - Notturno berlinese” di Juan Díaz Canales, soggetto e sceneggiatura, e Rubén Pellejero, disegni e colorazione.
Di Meyrink, pseudonimo di Gustav Meyer (1868-1932), scrittore, banchiere ed esoterista austriaco, che appare di sfuggita nel racconto, l’interlocutore è proprio Corto Maltese, marinaio, viandante, soprattutto gentiluomo di ventura: il personaggio inventato nel 1967 da Hugo Pratt (al secolo Ugo Eugenio Prat) e sopravvissuto al suo autore, diventando una sorta di icona metafisica, la rappresentazione grafica di un’idea, come lo è stato Sherlock Holmes per Arthur Conan Doyle.

Un "romantico pragmatico" la cui patria è il mondo

Corto - che in spagnolo vuol dire “svelto” - è un osservatore disincantato, dignitoso e dolente del suo tempo. Non è però osservatore passivo, quello che rimane silente o al più si lagna rancoroso post-factum. Sebbene riluttante, Corto agisce, non fugge. È mosso dal suo sentire cosa sia giusto nelle circostanze che affronta, e cosa sia onorevole. È libero da ideologie che inducono scenari distaccati dai fatti, che pur esistono, sebbene per taluni sia conveniente negare che i fatti abbiano concretezza. È un’entità la cui patria è il mondo, in cui si sposta con il vento dell’avventura; un cavaliere solitario che resta sospeso tra la Storia, la materia quindi, e il sogno. È, in questo, un discendente del “Sogno di una notte di mezza estate” o di qualche altro mondo delle fate. È in qualche modo un romantico pragmatico, anche se questo suona come una contraddizione. È, infine, quello che forse si vorrebbe essere - o che almeno Pratt avrebbe desiderato essere - e non si ha la forza o solo il coraggio o il talento di inverare.

Nelle sue storie, Pratt fece viaggiare Corto Maltese dall’Etiopia alla Siberia. Soprattutto lo fece andare a Venezia e lì ritornare, come aveva fatto Pratt stesso che infine aveva trovato dimora a Venezia, nel quartiere di Malamocco. Anche Canales e Pallejero fanno viaggiare Corto. Entrambi si sono sforzati, in questa come nelle tre prove precedenti, di conservare il carattere del personaggio e il segno grafico di Pratt, riuscendoci.
In “Notturno berlinese” la scena è appunto Berlino, la Berlino del 1924, in piena Repubblica di Weimar: l’esperimento democratico tra la fine dell’Impero, con l’abdicazione del Kaiser Guglielmo II il 9 novembre 1918, e l’avvento del nazismo il 30 gennaio del 1933, con quello che chiamarono “Machtergreifund”, da “Macth”, “potere”, ed “Ergreifund” che significa “sequestro”, “confisca”.

Weimar fu un calderone ribollente, soprattutto polarizzato dal punto di vista politico. Ne fece chiaro e profondo ritratto Eric D.Weitz nel suo “La Germania di Weimar – Utopia e tragedia” (Einaudi, 2019). Weitz è scomparso prematuramente nel 2021, a 68 anni. Come storico si interessò dei nazionalismi e della violenza di massa, in particolare nell’Europa dell’Ottocento e del Novecento, ma anche oltre, visti i suoi studi sul genocidio armeno, oltre che sull’Olocausto. Per Weitz, storico di vaglia, Weimar “resta il simbolo partecipato di stili di vita alternativi e nello stesso tempo il segnale d’allarme dell’esecrabile degenerazione morale. Resta il preludio del Terzo Reich e l’esempio palmare della democrazia «eccessiva»” (si veda la Prefazione).

La Costituzione della Repubblica di Weimar accolse in sé tutti i diritti politici emersi dalla rivoluzione americana, da quella francese e dai tumulti dell’America Latina. Furono concessi il suffragio universale, il riconoscimento dei sindacati, l’uguaglianza davanti alla legge, le libertà di riunione e di stampa, i diritti di proprietà e di difesa della persona, e altro. Gli apparati dello stato, però, erano ancora costituiti da funzionari che avevano servito nell’Impero. Ex combattenti della Prima Guerra Mondiale s’aggiravano smarriti nel nuovo ordine repubblicano, e non erano pochi; i traumi personali subiti nella guerra, la mancanza di prospettive, il senso di umiliazione, il non riconoscersi in nuove tendenze ribollivano. I partiti che contribuivano al governo del paese non riuscirono a evitare che i sentimenti personali derivati dall’esperienza della guerra e le difficoltà sociali collettive fossero l’humus di estremismi predatori; né si opposero con efficacia alla manipolazione ideologica dei fatti, alimentata con pervicacia da chi poi si trovò a governare; né seppero arginare efficacemente gli episodi di violenza che sempre più afflissero la vita della Repubblica.

Brevi anni di un rigoglioso rifiorire della vita culturale 

Quell’afflato di libertà aveva stimolato, però, un rigoglioso rifiorire della vita culturale. Aveva anche donato un desiderio di sfrenatezza che probabilmente accelerò la fine della Repubblica. Quel senso di fine prospettica, cioè di progressiva incapacità da parte della Repubblica di opporsi alla propria disgregazione, è l’amara consapevolezza che coglie Corto Maltese: “Sembra che predichi nel deserto come San Giovanni. Spero non finisca anche lui con la testa su un vassoio d’argento”, dice Corto di Friedrich Ebert (1871-1925), il Presidente della Repubblica, mentre ne ascolta un comizio. E sarebbe stato forse lo stesso commento di uno spettatore reale, non il frutto della penna di chi a posteriori conosce come andarono i fatti.

I tumulti erano incessanti, provocati dagli uni e attribuiti agli altri: l’aggressore si dichiarava aggredito, o costretto a reagire davanti a pericoli solo presunti o costruiti ad arte. Gli articoli di critica sociale di Joseph Roth (1894-1939) in quegli anni ne sono testimonianza. Canales e Pellejero non si dimenticano di questo e fanno apparire Roth al fianco di Corto Maltese. Roth svanisce dalla narrazione quando lo scenario diventa Praga, sospesa come Venezia tra la materia e il sogno; Praga che ricevette presto i rivoli di quanto ribolliva in Germania; Praga che era un osservatorio vicino e privilegiato perché incrocio di culture e di popoli; Praga che capitolò alla Germania con tutta la Cecoslovacchia il 21 settembre 1938, dopo che i nazisti erano intervenuti chiedendo l’annessione dei Sudeti, le regioni di confine in cui avevano indirizzato l’azione della SPD, il Partito dei Tedeschi dei Sudeti. I nazisti poterono annettere oltre ai Sudeti tutta la Cecoslovacchia perché le altre potenze europee non si opposero, con l’idea di evitare la minaccia della guerra che infine, comunque, ci fu.

Chi ha fame di dominio non si sazia. Sembra saperlo bene Corto Maltese che, di notte, dice “è un brutto momento in generale” a un gatto incontrato sull’isola artificiale di Kampa, a Praga, sul versante occidentale del fiume Moldava, vicino a Malá Strana, guardata dall’alto dal Castello silente.

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