Taranto trionfa ai David, ma resta “molle”: «Per cambiare la storia della città servono visione e unità d’intenti»

La vittoria ai David di Donatello di Riondino e Diodato con il film Palazzina Laf non ha acceso un confronto sulla famigerata riconversione Il vuoto dell’addio di Leogrande sembra aver lasciato il segno

Taranto trionfa ai David, ma resta “molle”: «Per cambiare la storia della città servono visione e unità d’intenti»
C’era un tempo in cui la molle Tarentum aveva tutt’altro che accezione negativa. Il poeta Orazio affermava anzi di preferirla a Roma, regina del mondo alludendo al...

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C’era un tempo in cui la molle Tarentum aveva tutt’altro che accezione negativa. Il poeta Orazio affermava anzi di preferirla a Roma, regina del mondo alludendo al carattere gaudente e riposante della vita tarantina. Poi, nel corso degli ultimi anni, la connotazione è diventata sì sprezzante: una città che, succeda quel che succeda, rimane impaludata. Nonostante tutto, nonostante pure una vittoria per esempio ai David di Donatello che ha portato il nome di Taranto agli onori delle cronache nazionali. Con tre statuette per un film, “Palazzina Laf” di Michele Riondino, che racconta una parentesi rivoltante per il mondo del lavoro all’interno dell’Ilva dei Riva: lì dove venivano confinati gli impiegati che si erano opposti alla “novazione” del contratto, ossia al declassamento a operai. Quasi certamente, ad altre latitudini, molti sarebbero saliti sul carro dei vincitori. O, magari, qualche bastian contrario avrebbe approfittato della situazione per capovolgere il senso della vittoria.

Tutto legittimo, solo che sono trascorsi diversi giorni da quella conquista e il dibattito è rimasto quasi silente. O confinato - a proposito di luoghi confinati e confinanti - in piccoli battibecchi social o qualche uscita spot. Quasi come se mancasse una figura di riferimento come quel Alessandro Leogrande che molti tirano per la giacchetta scomparso da sette anni. E a cui il film è dedicato e ispirato, grazie al libro “Fumo sulla città”.

L'analisi di Stefania Castellana

«Il dibattito culturale in città è oramai tristemente relegato alla polemica da tastiera - dice la storica dell’arte Stefania Castellana, presidente di Arci Gagarin e Fucina 900 - Una situazione che non consente il diramarsi di una riflessione lucida su quanto avviene, su più fronti, a Taranto. Perché se è chiaro che, in casi come la partecipazione a iniziative di livello nazionale e internazionale – come possono essere i “David di Donatello” per il cinema –, dovrebbe essere scontato che l’argomento diventi di dominio pubblico, la questione culturale investe più livelli della vita, non ultimi quelli urbanistico e sociale. Finché c’è stato Alessandro Leogrande che riusciva, anche con toni forti, a tenere assieme le fila di questo discorso e a dargli un respiro ampio, le questioni – culturali e non – legate a Taranto riuscivano a innescare un dibattito sano, partecipato e sovra-locale. La sua scomparsa ha privato la città di un ponte sul mondo e Taranto è quasi scomparsa dai radar dal punto di vista culturale, inghiottita nel proprio ombelico. Non che la produzione culturale non sia proseguita – hanno visto la luce, nell’ultimo decennio, libri, saggi, inchieste, film, documentari fondamentali sulla città – ma l’atteggiamento nei confronti della discussione pubblica si è inaridito».

Riattivare la macchina del confronto non è semplice, «soprattutto dopo anni in cui la politica locale ha spesso derubricato il dibattito a polemica sterile, quando non tendenza al disfattismo. Allora l’assenza di Leogrande si è fatta vuoto e chi ancora cercava di smuovere un po’ le acque con l’esercizio critico ha finito con l’arrendersi: il risultato è questo corpo inerte che abbiamo sotto gli occhi e di cui avvertiamo tutto il peso».

Le parole di Clara Cottino

Quei fumi sulla città sono stati spazzati in qualche modo nel rione delle ciminiere dal Crest: la compagnia teatrale da molti anni opera nell’auditorium TaTà al quartiere Tamburi e, tra tanti riconoscimenti, ha ottenuto il premio dell’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro. «Ho apprezzato le parole di Michele Riondino durante la premiazione, la cultura può essere un’alternativa - racconta la presidente del Crest, Clara Cottino - C’è un però. Dobbiamo avere tutti quanti, a cominciare dagli enti pubblici, una maggiore chiarezza e incisività per darci una visione di cosa vogliamo realizzare e a quale tipo di sviluppo ambiamo. Mi sembra che oggi i diversi operatori stiano andando per fatti propri, ognuno segue una sua strada e quello che manca è una visione d’insieme. Per esempio vogliamo una Città vecchia solo con localini o con chi ci abita? Vogliamo il turismo o vogliamo coniugarlo anche con altri comparti economici? Si parla tanto di rete ma poi non si persegue. Ognuno scalpita, chi più chi meno, ma il problema è che dobbiamo metterci intorno a un tavolo per lavorare davvero in sinergia».

Insomma, oltre a un aggregatore o più banalmente un provocatore di dibattito, l’idea è che manchi proprio una visione d’insieme che metta un po’ tutti d’accordo. Che è un po’ quello che sinistramente fa tornare a echeggiare il famigerato dilemma lavoro-salute.

Il pensiero di Giulia Galli

«Effettivamente ci sono tanti elementi slegati, ognuno va per sé - concorda Giulia Galli del Presidio del libro di Taranto - Costruire relazioni è difficile in questa città. Navigare in solitaria è pericoloso. Prima di tutto ci vuole un coordinamento più forte che aiuti gli operatori culturali. L’eredità di Alessandro Leogrande comunque c’è, perché ha lasciato delle idee. E alcune istituzioni e privati si muovono in quella direzione. C’è una consapevolezza nelle persone di quello che ha lasciato: guardare la realtà come sistema complesso e non semplificato, guardare alle cose con attenzione, ascoltando, osservando e cercando di non ridurre la realtà a slogan. Ma andrebbe amplificato e il livello politico può aiutare tutti gli operatori a coordinarsi meglio».

Le prospettive per Antonio Prota

Antonio Prota, esperto di turismo e marketing territoriale con importanti attività imprenditoriali e manageriali svolte in Italia, Africa, Caraibi e Stati Uniti, iniziò a parlare di sviluppo alternativo e di nuove visioni ben prima del bubbone Ilva. Realizzando a Taranto e provincia progetti green legati al turismo e alla cultura. «A me fa piacere che ora tutti ne parlino, mi dicono avevi ragione tu - spiega Prota, attualmente presidente del Contratto di Rete Greenroad.it, un modello di green economy per la crescita eco-compatibile dei territori - ma va bene, perché un’altra strada è possibile. La cultura è il motore della crescita, su questa affermazione tutti concordano, ma cos’è la cultura? Cultura è ciò che una comunità costruisce in un luogo nel suo tempo, trasformandolo con una nuova visione. Se la cultura è il motore, diventa fondamentale formare i piloti di questo motore. Il punto di partenza è rappresentato dall’analisi delle vocazioni territoriali e delle risorse disponibili, al fine di costruire una visione unica per la crescita e la riconversione, valorizzando gli elementi iconici. Taranto è uno spazio tanto potente da aver generato le basi fondanti dell’intera cultura occidentale e, anche se oggi alcuni segni di quel valore non sono visibili, è necessario lavorare affinché possano riemergere. È possibile ancora una riconversione nonostante l’incapacità nazionale di risolvere una questione industriale. È chiaro che su alcune cose il territorio è impotente, lì dipende da altri livelli, perciò diventa fondamentale parlarsi tra noi».

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Quotidiano Di Puglia