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È tra le realtà culturali italiane più innovative Swapmuseum, progetto di condivisione culturale e di partecipazione attiva al patrimonio. A dirlo non sono solo le centinaia di utenti, in prevalenza adolescenti, ma anche l’Europa. Il 30 giugno la Commissione Europea ed Europa Nostra, organizzazione pan-europea per la salvaguardia del patrimonio culturale e naturale europeo, ha assegnato il premio “Europa Nostra Awards 2022” a trenta realtà culturali di diciotto Paesi del continente. Tre sono italiane, tra queste Swapmuseum, che si è aggiudicata la categoria “Coinvolgimento della cittadinanza e sensibilizzazione”.
Fondato nel 2015 da Elisa Monsellato e Delia De Donno, il progetto punta a coinvolgere soprattutto i ragazzi, che, in cambio della loro partecipazione, ricevono benefit culturali.
Un’idea vincente recentemente riproposta da Gaetano Piepoli, docente universitario ed ex parlamentare, con la “carta giovani a punti”: in cambio del loro impegno in progetti culturali o sociali i giovani ricevono punti convertibili in servizi come sconti in palestre, teatri, musei, librerie, cinema. Proposta che riceve plausi da più parti ma che di fatto è già pratica consolidata per Swapmuseum. Un progetto, attualmente coordinato da Elena Carluccio e da un board quasi esclusivamente femminile, che in tempi recenti, rispondendo alle logiche proprie del welfare culturale, ha abbracciato anche le dinamiche sociali, sempre più interconnesse a quelle culturali.
A raccontare il progetto è Elisa Monsellato, fondatrice e coordinatrice dell’Icom Puglia.
Come e quando è nata l’idea di Swapmuseum?
«Dopo aver lavorato alla mappatura dei musei del Salento all’interno del progetto Museoweblab, finanziato dalla Regione Puglia, ci siamo rese conto che i piccoli musei del territorio avevano bisogno di progetti per far avvicinare i cittadini, riposizionarsi nell’offerta culturale, diversificare i loro servizi. I grandi assenti negli spazi museali erano i ragazzi come dimostrato dalle statistiche sulla povertà educativa.
Cosa rappresenta per il vostro lavoro questo riconoscimento? Come pensate influirà sulle vostre attività future?
«Questo è il più alto riconoscimento ottenuto fino ad ora e ciò ci rende orgogliose del percorso (non sempre facile) condotto fin qui. Rappresenta una fonte di legittimazione perché spesso i processi innovativi come questo non vengono da subito compresi ed accolti, soprattutto in territori in cui i musei stentano ad affermare il proprio ruolo sociale. Ci auguriamo quindi di poter avere una maggiore interlocuzione con quanti si sono dimostrati più diffidenti e di poter continuare a lavorare sul processo in una dimensione europea».
Al momento siete impegnate su un altro progetto innovativo, “Viva – Tante belle cose” che ha un target diversissimo, gli over 50. Quale relazione unisce i due progetti?
«In realtà i due progetti, per quanto diversi, hanno un minimo comune denominatore: sono due azioni di welfare culturale. Hanno entrambi un forte taglio sociale e sono accomunati dalla volontà di contrastare l’isolamento di queste fasce della popolazione che per diversi motivi si ritrovano escluse dall’offerta culturale locale. Situazione peggiorata poi a causa della pandemia. Attraverso la pratica partecipativa si vuole sensibilizzare la comunità tutta, sia essa di adolescenti o di over 50, alla tutela del patrimonio culturale del territorio e allo stesso tempo si cerca di potenziare le capacità dell’individuo in quanto singolo e in quanto comunità. Entrambi i progetti si basano sulla consapevolezza che fruire attivamente la cultura accresca il benessere sociale».
Quali sono i progetti e le aspettative future?
«Ad oggi il progetto Swapmuseum ha raggiunto 61 istituzioni museali pugliesi, 670 adolescenti che hanno trascorso 22.000 ore all’interno di spazi museali e 14 aziende sostenitrici. Ci piacerebbe incrementare ancora di più questi numeri e portare il nostro progetto fuori dai confini regionali per adattarlo a nuovi contesti museali in Italia, ma anche all’estero e creare una vera e propria community di swappers internazionale».
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