Prendete i 211 ulivi che Tap vorrebbe espiantare e moltiplicateli per dieci. Anzi: qualcosa più di dieci, esattamente per 11,8 - o giù di lì. In tutto fa...
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Per quale motivo Aqp ha espiantato quegli alberi? Per realizzare l’Acquedotto del Sinni, dorsale jonico-salentina del grande reticolo dell’acqua pugliese. Una condotta - 40 milioni di finanziamento Cipe, pianificazione della Regione, diametro di 1.400 millimetri, lunghezza 37,5 chilometri, realizzata in acciaio - che collega il serbatoio di San Paolo (in agro di Salice Salentino) al serbatoio di Seclì. E se nel maggio 2015 era stato completato il primo stralcio funzionale dell’opera (potenziando così l’alimentazione idrica dei comuni di Veglie, Leverano, Copertino e delle marine di Nardò e Porto Cesareo), la chiusura dei lavori nel settembre scorso ha permesso di allacciare alla rete Aqp gli ulteriori 25 chilometri sotterranei lungo Leverano, Nardò e Galatone. Proprio quest’ultimo segmento della condotta ha richiesto l’espianto dei 2.500 ulivi. Anzi: «la salvaguardia dei 2.500 ulivi», come scandiva trionfalmente il comunicato stampa dell’azienda. «Ogni singola pianta, censita con un’apposita targa, è stata, a scavi ultimati, ricollocata al proprio posto, lasciando inalterato il paesaggio».
È quello che, carte alla mano, avrebbe progettato Tap per i 211 ulivi. Del resto, le norme nazionali anti-xylella sulla movimentazione delle piante non lasciano grandi spiragli. E dunque: preparazione all’espianto (potatura della chioma, disinfezione, zollatura, imbragatura e carico sul mezzo di trasporto); trapianto nel sito di stoccaggio (preparazione della buca, sistemazione di telo anti-radice o di cassoni sul fondo della buca, fornitura e sistemazione di humus per l’allettamento del fondo, rinfranco e rinterro dell’apparato radicale); le successive cure colturali; e infine il percorso inverso, con geolocalizzazione degli alberi in modo da impiantarli nel sito d’origine.
Emiliano. A settembre, all’inaugurazione a Seclì della condotta griffata Aqp, Michele Emiliano così scandiva: «Quando si realizzano grandi opere, il sacrificio dell’ambiente è quasi inevitabile. Però quando un’opera è richiesta dal basso, condivisa dalla popolazione e chi la realizza ha la massima cura nel costruirla – qui sono stati espiantati oltre 2.000 ulivi e trasferiti con grande attenzione – questa ha una grande comprensione da parte del territorio. La popolazione comprende il sacrificio che c’è da fare e ne sostiene la realizzazione, nonostante i disagi del cantiere. Se qui ci avessero detto che c’era un sistema meno invasivo per realizzare questo acquedotto, probabilmente lo avremmo accolto. E dimostriamo così che il Salento sa sopportare anche i sacrifici ambientali: di questo dobbiamo ringraziare tutta la comunità locale».
Qual è la radicale differenza tra lo spostamento degli ulivi a cura di Aqp e di Tap? Dagli uffici della Regione sentenziano che «il problema non sono gli ulivi da spostare, ma è l’assenza di un progetto esecutivo di un’opera compiuta, visto che nel caso del gasdotto non abbiamo né il progetto esecutivo né l’opera compiuta». Questo è l’angolo visuale (giuridico e amministrativo) della Regione. Per tutto il resto, ci sono paura e indignazione del territorio. Quasi sempre. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia