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La fuga dal Sud e il crollo della natalità stanno mettendo a repentaglio la tenuta del sistema economico e sociale dei territori meridionali. E più che di disoccupati si calcola che tra meno di dieci anni si porrà il problema di reperire uomini e donne da occupare. È l’Istat a rivelare una tendenza che, in realtà, è già viva da un ventennio. E ciò che sta già accadendo, con migliaia di imprenditori costretti a ridimensionare la propria attività per l’incapacità di trovare personale da assumere, è quanto mai sintomatico di un fenomeno che è destinato ad aggravarsi. A spopolarsi è tutto il Paese. Ma, considerandone lo stato attuale, sarà il Mezzogiorno d’Italia a subire il maggior impatto demografico.
I dati
La data-orizzonte fissata da Istat è il 2030: in quell’anno l’Italia potrà contare su 1,9 milioni di potenziali lavoratori in meno con età compresa tra i 30 e i 64 anni, più 150mila giovani tra i 15 e i 29 anni. Di questi 1,4 milioni verranno meno proprio al Sud, mentre il Centro Sud perderà una quota pari al 4% del totale. La Sardegna è tra i territori più a rischio, come Rieri e Rovigo tra le aree provinciali. Complessivamente, 26 delle prime 30 province candidate al maggior spopolamento ricadono al Sud. Differente il trend stimato nell’arco dei prossimi 8 anni nei territori più in salute, con Pil pro capite sostenuto e dunque in grado di offrire maggiori opportunità alle persone che migreranno dai territori più “poveri”. È il caso in particolare di Bologna, Parma e Prato, dove gli “occupabili” sono stimati leggermente in aumento.
Il quadro pugliese
Nemmeno la Puglia è messa bene, soprattutto sul versante dei giovani.
Le idee
Soluzioni? Secondo le previsioni dell’Istituto Tagliacarne - sondato dal Sole24Ore che ha elaborato i dati Istat -, per i territori diventerà cruciale saper attirare giovani, favorirne l’autonomia e l’occupazione, riducendo la sfera di inattivi: «In ogni caso la spirale demografica proseguirà: possiamo rallentare questo processo, ma non invertirlo. Sarà inevitabile, dovremo spingere sull’incremento dei livelli produttivi». Solo tra il 2012 e il 2021 - ha calcolato, dalla sua, Ipres - la Puglia ha perso 116.295 residenti, con una flessione del 2,87%, superiore sia a quella media nazionale sia a quella del Mezzogiorno. Un bilancio sicuramente determinato in buona parte dallo scarso indice di natalità e dalla condizione di arretratezza che caratterizza il mercato del lavoro al Sud. Ma anche, in ultima istanza, dall’avvento del Covid: secondo la rilevazione del Censimento permanente, solo tra il 2019 e il 2020 la Puglia ha perso 19.529 residenti su un totale di 3.933.777 (italiani). E di questi, 6mila (la quota più consistente) sono riconducibili alla provincia di Lecce.
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