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“Non era estate, né primavera. E non sembrava nemmeno autunno, però l'inverno non esisteva”. Rubando un verso a Francesco De Gregori, si riesce persino a descrivere in maniera poetica il dramma del cambiamento climatico in atto. Ma un dramma resta un dramma: ghiacciai che si sciolgono, livello dell'acqua che si innalza, temperature del mare sempre più elevate, siccità. Il 2023 è già stato classificato come l'anno più caldo di sempre e Treccani ha inserito “Caronte”, l'anticiclone africano, tra i neologismi dell'anno. In Puglia, quello che i meteorologi continuano a chiamare “caldo anomalo” non sembra più nemmeno un'anomalia: le estati sono sempre più lunghe, mentre l'inverno dura appena un paio di settimane. Lo vediamo in questi giorni, con punte di 21 gradi e sole che batte, permettendo ai più audaci di fare persino una nuotata.
Cambiamenti climatici, agricoltura in crisi
A pagare le spese dei cambiamenti climatici e della tropicalizzazione del clima è principalmente l'agricoltura, con prodotti che - a causa del freddo che latita - fanno fatica a giungere a maturazione, animali selvatici che diventano stanziali distruggendo raccolti e allevamenti ed infine eventi estremi - grandinate, trombe d'aria, bombe d'acqua, ondate di calore e tempeste di vento - che distruggono i raccolti. È la stessa dieta mediterranea ad essere messa a rischio e con essa una bella fetta dell’economia regionale se si calcola che, a causa di questa primavera perenne, la produzione del vino - secondo Coldiretti Puglia - è calata del 30 per cento, quella di frutta e ortaggi del 20% e infine quella del miele ha registrato cali fino al 60%.
La siccità distrugge la produzione del carciofo
E che dire del carciofo violetto, fiore all’occhiello della produzione agricola brindisina? La siccità e i venti di Scirocco hanno più che dimezzato la produzione: un danno enorme all’economia locale, dal momento che, secondo Coldiretti, quasi un terzo dei 1.245.000 quintali di carciofi prodotti in Italia sono proprio quelli Igp di pregio prodotti a Brindisi.
Animali selvatici sempre più pericolosi
Con la temperatura media della terra e degli oceani che è aumentata di più di un grado, anche gli animali cambiano abitudini e molte specie - vedi l’invasione di cinghiali, granchi blu e pappagalli verdi - da selvatiche sono diventate ormai stanziali. Qui il danno è doppio: da un lato a rischio sono gli allevamenti e dall’altro le stesse colture. Qualche esempio aiuta bene a comprendere il dramma che stanno vivendo gli agricoltori: i circa 250mila cinghiali presenti in Puglia assediano le stalle, i cormorani - che mangiano circa 300 grammi di pesce al giorno - mettono a rischio l’economia legata alla pesca, il granchio blu (non per niente noto come “killer dei mari”) sta facendo razzia di vongole, cozze, pesci e molluschi. L’invasione di parrocchetti, segnalata tra Molfetta, Bari, Bisceglie e l’Alta Murgia, sta mettendo a rischio la produzione di mandorle perché con il loro becco questi pappagallini spaccano il guscio legnoso ed estraggono il guscio: una vera tragedia, considerando che la Puglia produce il 33% di tutte le mandorle prodotte su tutto il territorio nazionale. E poi gli storni, la cui presenza è massiccia sul litorale tra Bari e Brindisi: mangiando circa venti grammi di olive al giorno, stanno mettendo in crisi un settore già gravemente colpito dalla xylella. Infine i lupi. Il fatto che, dal Gargano al Salento, la loro presenza si sia moltiplicata, comporta stragi negli allevamenti: pecore e capre sbranate, mucche sgozzate, asinelli uccisi, senza contare che lo stress provocato agli animali dai continui assalti sta causando la riduzione della produzione di latte. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia