Scontro governo-sindacati, l'intervista al professore Gianfranco Viesti: «In Italia servirebbero più scioperi»

«In Italia servono più scioperi»: lo afferma con convinzione Gianfranco Viesti, economista e docente universitario, secondo cui gli italiani hanno, forse,...

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«In Italia servono più scioperi»: lo afferma con convinzione Gianfranco Viesti, economista e docente universitario, secondo cui gli italiani hanno, forse, perso fiducia in strumenti collettivi, privilegiando la ricerca di soluzioni individuali ai problemi. In questa condizione giocano un ruolo determinante la posizione dei sindacati, che sempre meno riescono a rappresentare il panorama frammentato dei lavoratori nel nostro Paese, e le scelte politiche degli ultimi anni.

Professor Viesti, come è cambiato il paradigma dello sciopero nel tempo?
«Io penso che in Italia si facciano pochi scioperi, bisognerebbe farne molti di più: uno dei nodi principali della società italiana è il basso livello dei salari e degli stipendi. E' un nodo sociale che penalizza il lavoro dipendente, i ceti medi e medio bassi, ma è anche un tema macroeconomico poiché questa situazione contribuisce a tenere troppo compressa la domanda interna, in particolare in un momento storico in cui l’inflazione ha eroso il potere d’acquisto dei cittadini. Ciò dipende da una moderazione salariale estremamente forte che ha caratterizzato il nostro paese negli ultimi vent’anni; al contrario di quanto accaduto in paesi simili come Spagna, Francia e Germania».

Quali possono essere le cause di questa condizione?
«Credo che il sindacato in Italia sia indebolito o abbia scelto, forse, una strada meno conflittuale e più difficile; non entro nel giudizio sul comportamento degli attori, credo che sia mancata da tempo una forte spinta sociale in favore dell’aumento dei salari, in un conflitto sociale ordinato, civile, che è il succo della democrazia e delle relazioni industriali in cui le parti fanno ognuna il proprio mestiere. È evidente che le aziende non possano aumentare gli stipendi schioccando le dita ma, in linea molto generale, il sistema produttivo italiano si è molto adagiato su una concorrenza basata su bassi salari».

È possibile che lo sciopero non sia più uno strumento efficace ai fini della contrattazione?
«Credo che l’arma dello sciopero conservi tutta la sua forza, guardiamo cosa è accaduto negli Stati Uniti dove i lavoratori sindacalizzati dei principali stabilimenti automobilistici per la prima volta da tantissimi anni hanno fatto uno sciopero lungo e hanno ottenuto miglioramenti salariali significativi. Anche in Germania, caratterizzata da un sindacato particolarmente attivo, sono stati ottenuti livelli retributivi che tengono meglio il potere d'acquisto. Ribadisco dunque che in questa fase storica l’Italia si caratterizzi per pochi scioperi. Non sto predicando la sovversione ma dico che ci vuole una spinta maggiore e che scioperare è una delle armi più forti che i lavoratori hanno per ottenere condizioni migliori».

Un’arma che però, paradossalmente, scelgono di utilizzare poco, può avere a che fare anche con la precarietà diffusa?
«Abbiamo un problema oggettivo: il mondo del lavoro si è molto frammentato per cui il sindacato non riesce più rappresentare tutti i lavoratori. E’ un tema di fondo delle società contemporanee, in particolare dell’Italia. L’iniziativa però non è del singolo ma di chi lo rappresenta, sia sul fronte sindacale che politico. La mia personale valutazione è che questa rappresentanza dovrebbe essere più combattiva, ovviamente nel rispetto delle forme, delle modalità di programmazione e con manifestazioni civili».

C’è una sorta di rassegnazione del lavoratore medio italiano?


«C’è certamente un problema di frammentazione e di difficoltà di rappresentanza; c’è un problema politico di ruolo, di chi era al Governo e all’opposizione in questi anni, dei partiti del centro sinistra che hanno seguito una linea diversa; e c’è grande sfiducia tra i cittadini sulla possibilità di azione collettiva, non c’è dubbio, ognuno cerca molto più di prima una soluzione individuale ai propri problemi, si crede meno nelle soluzioni collettive. Sono tanti problemi della società italiana, non è facile. Ma alla domanda: servono gli scioperi? Rispondo sempre che bisognerebbe farne di più» Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia