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Facciamo così: dei costi parla Rfi, dell’utilità dell’opera parliamo noi. Per il resto, ci affidiamo ai decisori: politici, parlamentari, governatori e amministratori locali di estrazione varia (la democrazia conserva una sua bellezza a dispetto della realtà misera che spesso offre). L’alta velocità che non arriva a Lecce è una pessima notizia. Per mille e un motivo. Sin dalla spiegazione formale di Rete ferroviaria italiana: «Alti costi, pochi vantaggi». Sembra un gioco a somma zero. Non lo è.
Privare di un collegamento strategico l’estremo lembo d’Italia - con la giustificazione che il risparmio di pochi minuti non giustifica l’esborso richiesto - suona come una condanna alla marginalità e alla perifericità, dimensioni declinate secondo caratteri perentori e definitivi.
Questo territorio, per insipienza propria o per magheggi altrui, più probabilmente per entrambi i fattori, sconta ritardi su cui la storia ha inciso più della geografia. I tratti peninsulari attribuiscono indubbio fascino, ma fuori dalla sfera esotica si contano solo macerie, sottosviluppo e arretratezza (se di palato fine, leggere l’ultima relazione di Bankitalia). L’insufficienza infrastrutturale moltiplica le distanze, sicché siamo in perenne ritardo su tutto, in qualsiasi comparto, dal primo all’ultimo. Chance di futuro, universalità di diritti e parità di condizioni sono beni sottratti ai calcoli di mera convenienza economica, di breve periodo soprattutto. Altrimenti che peso vogliamo dare ai danni sociali e alla perdita di possibilità? E questo non perché uno debba valere uno (danni già fatti, grazie), ma perché nessuno sia considerato pari a zero. Costi quel che costi. Fosse in ballo anche solo un minuto di ritardo sulla storia. La nostra storia.
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