Secondo molti lettori, Roberto Saviano con “La paranza dei bambini” ha scritto il suo miglior romanzo. Secondo altri, ha scritto il suo primo romanzo vero e proprio....
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Una serie televisiva si scrive, per certi versi, come un romanzo russo dell’Ottocento, creando un mondo molto solido, con tanti personaggi sullo sfondo e quattro o cinque caratteri in primo piano, tutti psicologicamente ben studiati e interessati da importanti archi di trasformazione: come i personaggi di Dostoevskij, alla fine di una serie i personaggi di solito sono cambiati tanto, hanno imparato qualcosa di fondamentale sulla vita, sulle relazioni, sullo stare al mondo, sul proprio passato.
Dopo l’esperienza di “Gomorra – la serie”, è piuttosto evidente che il modo di strutturare una storia si è modificato proprio nella direzione del romanzo canonico: “La paranza dei bambini” possiede una coerenza interna molto forte, un senso unitario di ogni situazione (che poi è già visivamente una scena), a sua volta collocata in una precisa concatenazione causale di eventi. La realtà, in sé, non ha una drammaturgia forte: lo sa bene chi è costretto ad aspettare un autobus, o chi è costretto ad assistere a una lezione noiosa. Saviano è diventato molto abile nel prendere la realtà e darle una forma romanzesca facendola passare per la griglia inflessibile della drammaturgia, che è una specie di logica ferrea, aristotelica.
“La paranza dei bambini” mette a fuoco l’autoformazione di un gruppo di giovanissimi: invece di passare per un apprendistato criminale, i protagonisti del romanzo decidono di fare da soli, di costituire una cellula autonoma che possa scalare la gerarchia in fretta. L’ambiente camorristico lo conoscono direttamente, perché ci vivono; il know-how se lo procurano su YouTube, guardando i tutorial che spiegano come si carica e si spara con un kalashnikov, imparando a memoria le battute dei film sui criminali, imitando le movenze dei videogame sparatutto. Non imitano affatto i padri, perché i padri non ci sono oppure non sono delinquenti; e le madri ci provano, a tenerseli in casa, ma oggi chi può tenere sotto controllo un teenager?
Il Bildungsroman di Saviano ha un protagonista che si impone fin dalle prime pagine sugli altri, Nicolas Fiorillo detto Maraja, perché il suo sogno è avere un tavolo fisso per sé e per i suoi amici nell’area riservata del locale dei vip, il Maraja. Il sogno è contare qualcosa nell’unico ambiente che conosce, avere il rispetto degli altri, non perché abbia subito chissà quali umiliazioni nella sua breve vita, ma soltanto perché gli è stato chiaro molto presto che o sei un “fottitore” oppure un “fottuto”. La formazione della paranza, la cellula criminale, è un’avventura ben narrata, così come Saviano è molto abile nel ricordarci che anche se maneggiano dei mitra, questi sono ragazzini praticamente identici ai loro coetanei e vicini di casa che non fanno paranza, stessi gusti, stesse ingenuità, stesso rapporto con i genitori. Questa giovane umanità è mediamente libera dal bisogno, non è la vecchia manovalanza del sottoproletariato: a fare da motivazione è il desiderio, il motore inarrestabile del superfluo. La versione criminale del neoliberismo non è fatta di colletti bianchi che sfruttano titoli tossici e derivati o che fanno truffe nell’immateriale: il neoliberismo criminale è il saccheggio materiale per soddisfare il desiderio di avere più degli altri. Allora questo che è il miglior libro di Saviano, e il suo primo romanzo di finzione (documentata), è anche il suo testo più politico. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia