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Facciamo il punto sui principali problemi che il Paese sta affrontando non senza disagi: il coronavirus rallenta ma non sembra volersi fermare, la ripresa economica prova ad “affacciarsi”, ma per ora appare solida solo nelle previsioni, le riforme sono al momento soltanto annunciate ed i provvedimenti più caratterizzanti il Pnrr (transizione digitale ed ecologica) appaiono ancora lontani dal muovere i primi passi. Naturalmente si tratta di interventi molto complessi e difficili da avviare (e da portare a conclusione) con la necessaria tempestività, ma sono fondamentali per “sterzare” finalmente verso un percorso di crescita virtuosa e possibilmente duratura. Nel frattempo, però, anche se in maniera non particolarmente “rumorosa”, ma tangibile, si sta espandendo nel Paese un virus molto attivo e pericoloso il quale, se non annientato o, perlomeno, frenato in tempi brevi, rischia di innescare una serie di questioni sociali, oltre che economiche, dagli esiti non facilmente prevedibili e soprattutto non agevolmente gestibili.
Ci stiamo riferendo a quello che possiamo senza dubbio definire il “virus della povertà”, ormai distintamente diffuso sul nostro territorio, ma con modalità e riscontri differenti (quasi fossero delle varianti); tra l’altro, in questi tempi di pressante impegno nel piano vaccinale e nella gestione del Recovery Plan, il tema della povertà sembra essere passato alquanto sotto silenzio, come se fosse un argomento di secondaria importanza oppure non strettamente collegato sia con la crisi pandemica che con i meccanismi di impiego delle risorse europee. In realtà non è così e se non viene “assalito” con il dovuto orizzonte programmatico e con gli adeguati strumenti rischia di compromettere o, comunque, di ritardare la ricostruzione del Paese. Un primo campanello d’allarme era già arrivato forte e chiaro dal recente rapporto Istat dedicato alla povertà: in esso si indicava una forte crescita nel 2020 del numero delle famiglie povere in senso assoluto (sono più di 2 milioni, con un aumento del 6,4% rispetto al 2019), con un’impennata del fenomeno nel Nord del Paese (su 100 famiglie povere ora 47 sono al Nord, erano 43 in precedenza), ma contestualmente una maggiore “partecipazione” nel Sud (quasi una famiglia su 10 si situa sotto la soglia di povertà, meno di 7 al Nord); un secondo segnale della dannosa presenza del “virus della povertà” proviene dagli ultimi dati (fonte Istat) relativi ai prezzi al consumo: ebbene, al di là di registrarne una variazione nulla in maggio (nei confronti di aprile), l’elemento che desta maggiore preoccupazione risiede nel costante aumento del peso relativo dei prodotti alimentari rispetto alla spesa complessiva delle famiglie (ora sfiora il 20% mentre era appena superiore al 16% l’anno scorso); tale condizione, unitamente alla riduzione del potere d’acquisto delle famiglie (meno 2,6% nel 2020, fonte Istat), evidenzia uno “scivolamento” verso l’area della povertà.
Quotidiano Di Puglia