Un ragazzo ucciso, il suo killer e noi

Un ragazzo ucciso, il suo killer e noi
La notizia della scarcerazione per fine pena di uno degli assassini di Michele Fazio, il ragazzo di 16 anni ucciso per errore a Bari, vittima innocente di una guerra di mafia, si...

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La notizia della scarcerazione per fine pena di uno degli assassini di Michele Fazio, il ragazzo di 16 anni ucciso per errore a Bari, vittima innocente di una guerra di mafia, si porta appresso un risvolto positivo, per strano che possa sembrare, e un paio di riflessi alquanto preoccupanti. Sul primo e sugli altri solo qualche appunto.

Il primo. Sembra un ossimoro, ma la scarcerazione è una vittoria dello stato di diritto. Percorso netto: delitto atroce, indagini rapide, responsabili arrestati, processati, condannati, messi in prigione e scarcerati a espiazione avvenuta. Non siamo uno stato di polizia e la detenzione non risponde più a esigenze vendicative (forse ancora solo retributive, riabilitative magari, riparative no, non ancora: un problemone su cui si fatica a trovare una soluzione. Altra storia, per quanto connessa). Sbattere in carcere e buttare le chiavi non serve, non funziona: è pulsione arcaica al cospetto di problemi complessi.

E il problema siamo noi: seconda e terza questione. Quanto ancora c’è da fare se - nonostante l’impegno di magistratura, forze di polizia, enti locali, volontariato e associazioni varie - la scarcerazione di un pezzo grosso della criminalità pone problemi di assetti ed equilibri all’esterno? La storia della criminalità organizzata in Puglia è recente ma non tanto da scongiurare il ritorno in libertà di boss storici: molti sono sul punto di lasciare il carcere, dopo venti o trent’anni dietro le sbarre. Che mondo gli faremo trovare: migliore o peggiore di come lo hanno lasciato? E noi, noi cosa siamo diventati? I legami perversi sono stati recisi? Le sordide convivenze (connivenze, convenienze) sono state debellate? Le richieste indicibili tutte rimosse? I patti scellerati, azzerati? Se no (e viene da pensare che no), allora la storia criminale è un problema anche - tanto, troppo - sociale. E il sociale siamo noi: molto è stato fatto, ma ancora non basta. È evidente.

Poi c’è la salva di fuochi di artificio con cui è stato accolto il ritorno del killer del povero Michele. Un dignitoso silenzio sarebbe stato omaggio opportuno alla memoria di un ragazzo ucciso senza colpa e senza pietà. La fragorosa accoglienza tributata, a dispetto della ferita ancora aperta, dà invece il senso e la misura della tracotanza di alcuni e dell’acquiescenza di altri. Che è quanto di peggio possa avvenire. Il passo successivo, se non già compiuto, è nella saldatura indissolubile tra lecito e illecito, tra luci e ombre. Ecco: se così stanno le cose, chi può chiamarsi fuori? E fino a che punto?

 

 

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Quotidiano Di Puglia