Spesso in questo complicato Paese si ragiona e si agisce lo fa (quasi) sempre la Politica come se il territorio non fosse difforme al suo interno sotto i differenti aspetti...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Quanto ora richiamato ci offre la possibilità, ampliando il perimetro della riflessione, di soffermarci su un tema di fondamentale importanza per il futuro del Paese, ovvero gli investimenti, anche alla luce dell’imminente varo della legge di bilancio - sicuramente la più importante sotto il profilo economico - in cui, oltre ad inserire temi come il Green New Deal o il piano “Italia Cashless”, occorrerebbe investire sia per la manutenzione delle aree più a rischio (di smottamenti, valanghe e inondazioni, ad esempio) e sia per evitare il ripetersi di situazioni spiacevoli come quella dell’ex-Ilva, gestita “nervosamente” (e ancora non risolta!) alla pari di una qualsiasi azienda in difficoltà, con ritardi e incertezze a dir poco imbarazzanti, quando invece si sta parlando del più importante polo siderurgico europeo che, tra l’altro, impegna migliaia di lavoratori.
Insomma, gli investimenti rappresentano, senza dubbio, il “carburante” per avviare il motore della crescita economica e sociale, ma occorre fare attenzione ai cosiddetti interventi “a pioggia”, data la loro scarsa efficacia, definendo invece sul piano territoriale delle priorità e intervenendo nel modo più efficace e al momento giusto. A questo riguardo qual è la situazione nel nostro Paese? Nell’ultimo decennio gli investimenti fissi sono leggermente aumentati nel Centro-Nord (del 2% circa, fonte Istat), passando da poco meno di 227 miliardi agli attuali 230 (l’80% circa del totale degli investimenti), mentre nel Mezzogiorno si sono ridotti del 20% circa, scendendo da 74 a 62 miliardi. Ma c’è di più, nel senso che nel momento in cui nel Centro-Nord si riduceva il peso degli investimenti pubblici (dal 12 al 10%) e aumentava quello dei privati, nel Sud accadeva il contrario e la quota degli investimenti pubblici si incrementava dal 18 al 20%, come conseguenza della contrazione di quelli privati. Ecco cosa è mancato (e sta mancando) al Sud per avviare quel percorso di riduzione del gap economico nei riguardi del resto del Paese: una robusta dose di investimenti pubblici, con conseguente ripresa dell’occupazione. Se consideriamo poi che, generalmente, gli investimenti privati hanno obiettivi di breve periodo da realizzare – e essendo più consistenti al Nord, permettono a quest’area del Paese di crescere con ritmi superiori che altrove - gli investimenti pubblici potrebbero (e dovrebbero) avere un orizzonte temporale d’intervento più lungo, cosa che aprirebbe una fase di crescita del Meridione. Purtroppo ciò non è accaduto perché le incessanti polemiche e i continui appuntamenti elettorali hanno spinto (e spingono) i decisori pubblici ad “orientarsi” su provvedimenti di breve periodo, oppure, ancora peggio, a procrastinare gli interventi stessi, limitandosi alle solite promesse, non sempre mantenute; in questo modo si penalizza il Mezzogiorno nel quale, come rilevato, gli investimenti pubblici rappresentano una quota non secondaria per agevolarne la ripresa.
Dunque, cosa fare? In un momento di debolezza dell’economia italiana, certificato anche da un tasso di inflazione di poco superiore allo zero, spia indiretta della stagnazione che attraversa il Paese, appare fondamentale cambiare rotta e destinare le (poche) risorse disponibili verso mirati Investimenti infrastrutturali su realtà specifiche del nostro territorio (soprattutto, per non dire esclusivamente, al Sud). Tutto questo in un contesto interno e internazionale difficile per il Paese, con all’orizzonte due possibili scenari dagli esiti incerti: a livello europeo, seppur con qualche resistenza, si sta facendo spazio l’idea di assegnare un coefficiente di rischio ai titoli di Stato detenuti dalle banche dei singoli Paesi, con effetti molto pesanti per l’Italia, considerato l’elevato debito pubblico e, pertanto, la conseguente difficoltà di finanziarlo (altro segnale della necessità di iniziare seriamente a ridurlo, invece di continuare ad aumentarlo!); all’interno potremmo correre a breve un forte rischio, cioè quello di finanziare con risorse pubbliche (cioè dei cittadini), non soltanto un nuovo prestito ponte all’Alitalia (anche all’ex-Ilva?), ma “insistendo” con i prestiti, verrebbero coinvolte ulteriormente le famiglie, che, non dimentichiamolo, già “sostituiscono” lo Stato nel sostenere la parte più debole dei nuclei familiari (giovani e anziani) in una sorta di welfare familiare e, quindi, sarebbe un aggravio, forse, non sopportabile. È arrivato, dunque, il momento delle assunzioni di responsabilità da parte della Politica, iniziando da decisioni – in un’ottica pluriennale - ragionate e coraggiose (definendo da un lato una sostenibile politica industriale e abbattendo dall’altro la gigantesca evasione fiscale) per rimetterci stabilmente in moto e non affidarci, anche questa volta, all’italica arte di arrangiarsi.
Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia