Oggi è un uomo, ha 44 anni ed è un educatore del Centro di riabilitazione psichiatrica di Alessano, ma quando lo zio - don Tonino - gli insegnava a mantenersi a...
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Stefano, che ricordi ha di suo zio?
«Ricordi bellissimi, per me lui è una presenza viva, basti sapere che il mio unico figlio, che ha sette anni, porta il suo nome, Tonino, un onore e anche un dovere verso un uomo che mi ha insegnato tantissimo. Dai miei 5 anni fino ai 20, periodo in cui poi lui è morto, è stato il mio centro di gravità permanente. Eravamo legatissimi, io sono nato a Bologna ma poi la mia famiglia ritornò ad Alessano, dove c’era anche l’altro fratello di mio padre e zio Tonino, zio Trifone, e siamo stati sempre legatatissimi. Lui, anche quando stava a Molfetta, cercava di venirci a trovare ogni volta che gli era possibile. Zio Tonino era molto legato a tutti i suoi nipoti, io ero maschio e con me condivideva la passione per il calcio, giocavamo a tirare il pallone al muro per ore, e per tutto quello che non poteva condividere con mia sorella e le mie due cugine».
È vero che le ha insegnato a guidare?
«Sì, verissimo. Avevo 15 anni e la smania, come tutti gli adolescenti, di guidare la macchina. All’epoca zio Tonino aveva una Ritmo di colore blu, e tutte le volte che veniva a casa mia a pranzare, poi al termine del pasto con la scusa di fare una passeggiata sulla litoranea ci allontanavamo, non prima che mio padre, conoscendolo bene, gli raccomandasse di fare attenzione a me. Una volta che eravamo a distanza di sicurezza da sguardi indiscreti mi faceva mettere al volante. Ricordo che mi guardava fisso negli occhi [/FIRMA]e mi diceva: “Stefano, quando guidi devi sempre pensare a cosa sta facendo sta sulla corsia opposta e quando vedi un pallone sbucare un pallone ricordati che dietro c’è sempre un bambino che lo rincorre, quindi devi concentrarti fare moltissima attenzione. Raccomandazioni che ancora oggi tengo bene in mente».
Don Tonino era uno zio severo?
«No, assolutamente. In 20 anni non mi ha mai sgridato, non mi ha mai detto di andare in chiesa, di confessarmi, o di fare non fare arrabbiare i miei genitori. Con me scherzava sempre, non c’erano rimproveri. L’unica volta in cui mi parlò come si parla ad un adulto fu qualche istante prima di morire: mi fece avvicinare a lui e disse: “Stefano, ricordati, nella vita devi sempre essere onesto e aiutare i poveri e chi ha bisogno”. Mio padre gli chiedeva di essere più severo, soprattutto quando mi insegnava il latino. Quando non traducevo bene invece di punirmi la versione me la dettava lui e io a scuola prendevo voti altissimi. Non ricordo mai una volta che ci abbia guardato male, se sbagliavo diceva “Beddhu te lu ziu” (bello dello zio). Eppure in gioventù, quando impartiva lezioni di italiano e latino era molto severo, abbiamo anche delle registrazioni di quando sgridava i ragazzi che andavano a ripetizione da lui».
Hai mai viaggiato con lui?
«Si, mi ha portato a Roma e a Milano, ma non alla marcia a Sarajevo, avevo 20 anni e lui sconsigliò mio padre di mandarmi. Con lui andò solo lo zio Trifone, disse che era troppo pericoloso».
Ricordi qualche aneddoto di un viaggio?
«Sì, a Milano. Prima di salire sul treno per tornare nel Salento, in un emporio alla stazione mi comprò un walkman, allora si usavano molto. Quando salimmo sul treno e io mi misi la cuffia per ascoltare la musica con la musicassetta di Venditti mi accorsi che non funzionava, allora lui mi guardò fisso negli occhi e mi disse: “Pensi di riuscire ad andare a cambiarlo senza che il treno parta?” Io risposi di sì e mi lasciò andare. Al mio ritorno il treno era partito e vidi lo zio Tonino che manteneva aperta aperta la porta incitandomi con un “Dai che ce la fai”».
Come vivi la venuta di papa Francesco ad Alessano?
«Per me il pontificato di papa Francesco è unico e raro, la scelta di venire qui è molto significativa, indica la direzione che la Chiesa intende prendere, promuovendo autentici esempi di vita apostolica. Spero che la venuta del Papa possa accelerare il processo di beatificazione di mio zio, che non deve essere una statua da baciare, ma una stella luminosa per la vita delle persone».
Cosa ti manca di tuo zio?
«Tutto, manca la sua presenza, mancano i suoi consigli, manca soprattutto non averlo vissuto con la consapevolezza di uomo adulto. Il mio rammarico è non averlo potuto vivere di più, anche se non passa giorno senza ricordarlo. Ricordo soprattutto i suoi occhi ridenti, la luce che sprigionavano. Lui è sempre con me e quando devo decidere qualcosa mi basta pensarlo per scegliere sempre la strada giusta». Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia