Squinzano, politica e affari criminali: in sei rischiano il processo

Squinzano, politica e affari criminali: in sei rischiano il processo
Compariranno in sei davanti al giudice Michele Toriello, il 28 gennaio prossimo: per quella data, infatti, è stata fissata l’udienza preliminare per lo stralcio...

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Compariranno in sei davanti al giudice Michele Toriello, il 28 gennaio prossimo: per quella data, infatti, è stata fissata l’udienza preliminare per lo stralcio dell’inchiesta “Vortice-Déjà vu”, per la parte riguardante i reati che hanno coinvolto esponenti politici di spicco di Squinzano. Per loro i pubblici ministeri Guglielmo Cataldi e Giuseppe Capoccia hanno chiesto il rinvio a giudizio. Ma solo all’esito dell’udienza si saprà se dovranno affrontare un processo. Si tratta di Fernanda Metrangolo, 66 anni, ex presidente del Consiglio comunale; del figlio Carlo Marulli, 43 anni; di Roberto Schipa, 58 anni, all’epoca dei fatti comandante della polizia municipale; di Giovanni Marra, 54 anni, ex sindaco; di Antonio Pellegrino, 41 anni (accusato anche, nel filone principale, di associazione mafiosa); e di Lino Gabriele Lagalla, 48 anni. Quest’ultimo, Metrangolo e Marulli rispondono di corruzione; falso ideologico commesso da pubblico ufficiale, invece, l’accusa per Schipa, Marra e Pellegrino; questi ultimi due, inoltre, dovranno difendersi dall’accusa di abuso d’ufficio.








I loro nomi erano finiti nella maxi inchiesta sui presunti condizionamenti della criminalità organizzata nei confronti della politica squinzanese: tre i blitz messi a segno dai carabinieri nel giro di pochi mesi, che hanno portato a contestare 85 capi d’imputazione nei confronti di 96 persone e che hanno provocato un vero e proprio terremoto politico a Squinzano, con l’arrivo di una commissione d’indagine. In particolare, Metrangolo è accusata di aver ricevuto da Lagalla 2.409 euro, che avrebbe poi consegnato al figlio Carlo Marulli, «quale compenso per l’interessamento offerto», si legge nel capo d’imputazione, per sveltire la pratica di pagamento di un debito da parte del Comune nei confronti della ditta del padre di Lagalla, debito riguardante alcuni lavori effettuati nel 2009. Diversa la contestazione che riguarda l’ex comandante dei vigili, il sindaco e Pellegrino: i due pubblici ufficiali avrebbero consentito a Pellegrino di occupare un alloggio popolare, sulla base di false certificazioni che riguardavano un presunto - e mai accertato, secondo l’accusa - stato di necessità della madre del 41enne.



La prima operazione dei carabinieri si svolse poco più di un anno fa: al momento degli arresti, sia Antonio Pellegrino che il fratello Patrizio (anch’esso accusato di associazione mafiosa) si resero irreperibili. Il primo fu individuato a Budapest nel giugno scorso; mentre il secondo è rimasto latitante fino alla scorsa settimana, quando è stato arrestato dalla polizia tedesca alla stazione di Monaco di Baviera. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Antonio Savoia, Paolo Spalluto, Francesca Conte, Elvia Belmonte e Giuseppe De Luca. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia