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Urla di dolore e rantoli di morte ieri hanno monopolizzato l’udienza in Corte d’Assse del processo per l’omicidio di Natale Naser Bahtijiari, il ventunenne leccese di etnia rom ucciso e gettato in un dirupo a Manduria nella notte tra il 22 e il 23 febbraio dello scorso anno. Dagli altoparlanti dell’aula Alessandrini sono stati diffusi gli ultimi venti minuti di vita del giovane aggredito e seviziato con più di venti coltellate di cui una più profonda, mortale, al torace. Rumori, suoni e voci, offese, lamenti, suppliche di perdono e richieste di aiuto, tutto contenuto nella traccia audio della cimice montata sulla macchina che registrava ogni cosa. Bastava chiudere gli occhi, ieri, per vedere la scena di un film sull’esecuzione in diretta, tutto drammaticamente vero. Trenta minuti di agonia che ha lasciato tutti ammutoliti, pubblico, corte, avvocati e pubblica accusa, rappresentata dal pm antimafia Milto Stefano De Nozza, che ha così dimostrato la crudeltà dei presunti autori di quel massacro. Sotto processo per il terribile omicidio ci sono i tre manduriani Vincenzo Antonio D’Amicis di 21 anni, (difeso dagli avvocati Lorenzo Bullo e Massimo Chiusolo), Domenico D’Oria Palma e Simone Dinoi, entrambi di 24 anni (difesi dagli avvocati Franz Pesare e Armando Pasanisi). Che devono rispondere di omicidio in concorso con una serie di aggravanti tra cui la crudeltà e il metodo mafioso e poi la tentata soppressione o distruzione di cadavere con il fuoco. Proposito quest’ultimo non portato a termine perché dopo il delitto, non riuscirono a trovare al buio il corpo dello sfortunato 21enne che avevano abbandonato poco prima tra la vegetazione. A prendere la parola ieri, inoltre, sono stati gli investigatori della squadra mobile e il consulente tecnico che ha trascritto tutte le intercettazioni ambientali della notte dell’omicidio ed anche quelle captate nei giorni successivi in casa di D’Amicis. Gli ispettori hanno spiegato le indagini e come si sarebbero svolti i fatti a partire dall’arrivo a Manduria di Naser Bahtijiari in compagnia di due amiche, sino all’epilogo finale del delitto.
La ricostruzione
Secondo la loro ricostruzione, il giovane leccese che si era recato nella città messapica per riscuotere il pagamento di una fornitura di cocaina, sarebbe stato portato in un bar del centro storico dove sarebbe avvenuta la prima aggressione.
Gli avvocati Bullo e Michele Iaia, infine, difensori del quarto imputato del processo, Vincenzo Stranieri, 64 anni, ex boss della sacra corona unita che secondo l’accusa si sarebbe impossessato, in concorso con il nipote Vincenzo Antonio D’Amicis, della macchina del giovane rom dopo aver fatto scendere con la forza le due ragazze che lo avevano accompagnato, hanno invece contestato, poiché non riscontrabile dalle immagini delle telecamere del circuito cittadino, l’atto violento descritto dagli investigatori secondo i quali il 64enne avrebbe tirato per i capelli una delle ragazze. Prossima udienza il 6 maggio con l’ascolto dei testimoni delle parti civili.
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