Arsenico, Vanadio, Berillio: sono i tre inquinanti che avvelenano il Salento. Il dato è stato ufficializzato ieri mattina in conferenza stampa da Lilt Lecce ed è...
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I campionamenti sono stati effettuati dal laboratorio Alfa di Poggiardo, mentre sulle analisi e l’elaborazione dati hanno lavorato i prof di Biologia e Ingegneria dell’Innovazione di UniSalento (Angelo Corallo, responsabile del gruppo di ricerca; Francesco Pettinato, responsabile sviluppo Dss; Antonio Calisi responsabile ecotossicologia). Le analisi per la Diossina in un centro accreditato di Ravenna. Partner del progetto la Provincia di Lecce, Asl Lecce con il Dipartimento di Prevenzione e il Registro tumori di Lecce.
«Non c’è un’emergenza sanitaria – ha precisato Giovanni De Filippis, direttore del Dipartimento di Prevenzione –, ma la necessità di capire eventuali relazioni tra inquinanti e patologie tumorali. A breve presenteremo i dati dello studio sul tumore ai polmoni nei maschi e partiremo con il Progetto minore per conoscere lo stato della falda del sottosuolo».
Nove le aree campionate e ognuna comprende un bacino Di comuni: 6 aree sono ad alto rischio epidemiologico, 1 a medio rischio, 2 a basso rischio. La prima area delle sette ad alto rischio comprende Zollino, Caprarica di Lecce, Calimera, Martignano, Castrì di Lecce; la seconda: Sannicola e Tuglie; la terza Sogliano Cavour, Cutrofiano, Melpignano, Maglie, Galatina; la quarta Giuggianello, Minervino di Lecce, Sanarica, Nociglia, Botrugno; la quinta Diso, Santa Cesarea Terme, Ortelle; la sesta: Morciano di Leuca, Patù, Salve, Castrignano del Capo, Gagliano del Capo. A medio rischio epidemiologico c’è la settima area che comprende: Novoli, Campi Salentina, Squinzano; a basso rischio epidemiologico l’ottava area con Porto Cesareo e Leverano; la nona con Miggiano e Montesano Salentino.
In quasi tutte le 9 aree è stata rilevata la presenza di Arsenico, Berillio e Vanadio, anche se in quest’ultimo caso le percentuali sono inferiori a quelle dei primi due. A dare la chiave di lettura dei dati è stato Antonio Giangrande, esperto del laboratorio Alfa di Poggiardo. «Quando mi è stata proposta questa indagine ho avuto paura – ha confessato Giangrande – per la vastità dell’area di campionamento. Trentadue comuni in nove aree sono tanti. I risultati sono stati inaspettati, non compatibili e non attesi per le aree verdi. Non sono state trovate tracce di pesticidi, mentre l’analisi delle diverse diossine, furani e Pcb, sono sotto i limiti di legge, ma sono collegate a sorgenti di contaminazione che devono essere studiate». La correlazione tra tumori e inquinamento, secondo Lilt, si manifesta con i test di biotossicità «ed in particolare quelli di genotossicità dei suoli, hanno rivelato in alcune aree (vedi, ad esempio, i test dei micronuclei in Cutrofiano, Giuggianello e Botrugno) una possibile correlazione tra inquinamento ambientale e situazione epidemiologica della popolazione».
«La situazione era assolutamente inattesa – ha affermato Giuseppe Serravezza, responsabile del comitato scientifico di Lilt – perché non ci aspettavamo uno stato di contaminazione del suolo di questa misura. Se lo stato tossicologico è questo c’è da temere un’esplosione di altre patologie, oltre al tumore penso – ad esempio – al diabete e all’infertilità di coppia. Il suolo ha una memoria storica che raccoglie tutto e il monitoraggio ci ha mostrato cosa è accaduto negli ultimi 10 dieci anni nel Salento». Questo lo stato dell’arte certificato dal progetto Geneo e poi Serravezza avverte: «Con estrema urgenza le istituzioni devono affrontare il problema per risalire alle sorgenti degli elementi inquinanti. Il nostro territorio è martoriato e bisogna ripensare tutta la pianificazione relativa a impianti che producono inquinanti. La situazione è grave e non ci può fare stare tranquilli che alcuni inquinanti siano sotto la soglia di legge: biologicamente queste sostanze agiscono sull’essere umano e per questo non possiamo accettare la presenza di questi veleni. Per prendere le decisioni tecniche, non occorre aspettare di dover contare i morti, nei Paesi industrializzati più importanti non si aspettano le indagini epidemiologiche, ma si interviene in via preventiva sulle matrici ambientali eliminando la fonte dei veleni e quindi la causa di malattie». Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia