Se nel Salento c’è, la ripresa è talmente debole da non godere di alcun riflesso sull’occupazione. Che resta il vero punto debole del territorio. La...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Il quadro emerge dalle ultime stime operate dell’Istat che, tuttavia, non dipingono affatto un Mezzogiorno in ritardo, anzi. Le grandi città registrano incrementi consistenti, sorpassando, in alcuni casi, anche quelle del nord che, in linea generale, mantengono comunque un trend di crescita.
Malissimo, invece, Lecce. Solo Foggia, in Puglia, nel raffronto tra il 2017 e il 2016 ha fatto peggio di noi. Nel Paese l’ultima della lista è Ancona (-5,18). In termini quantitativi la percentuale si traduce in 5mila posti di lavoro in meno. Foggia ne ha persi 6mila. Ma Bari è tra le prime dieci d’Italia (come anche Caserta e Napoli, a proposito di realtà meridionali) con un tasso di occupazione in crescita del 4,64% e 18mila occupati in più. Roma (+36mila), Milano (+29mila) e Brescia (+20mila) sono le prime tre in graduatoria, sebbene spetti a Vibo Valentia il primato assoluto per crescita percentuale del tasso di occupazione (+11,12%).
Fotografando il trend in termini assoluti dal 2008 a oggi la curva peggiora con il Salento che scivola sempre più in basso piazzandosi al penultimo posto in Italia a seguito, come si diceva, della perdita complessiva di 23mila posti di lavoro che, in termini percentuali, si traduce in un drammatico -9,51 per cento. Solo Palermo ha perso più posti di lavoro dall’inizio della crisi a oggi (-36mila posti).
Tra le province che hanno creato meno posti di lavoro figura anche Taranto (-6,46%).
Nessuna provincia pugliese è nelle prime 20 posizioni, dove trovano, comunque, spazio, rispettivamente, al secondo e al terzo posto, due province meridionali (Caserta e Crotone) a dimostrazione che non tutto il Sud viaggia col freno a mano tirato.
E’, dunque, l’andamento del settore manifatturiero, in particolare, che continua a segnare l’economia salentina. Dal 2010 al 2016 il settore ha perso 11mila unità e i dati sull’export confermano che per le imprese di settore continua a non essere un momento poi così brillante. Nell’ambito dello stesso manifatturiero c’è stato un crollo che ne ha peggiorato sensibilmente la performance contribuendo alla riduzione dei posti di lavoro: quello del Tac. E che, solo di recente, è tornato a crescere in termini di addetti e di esportazione (+30% abbigliamento). E’ un tema che Quotidiano ha affrontato, numeri alla mano, nell’inchiesta sulla formazione di alta qualità e lavoro che incrocia il dato sulla riduzione dei posti proprio perché, com’è emerso per voce dei responsabili di enti formativi e siti produttivi, in provincia di Lecce – nel Tac come nel metalmeccanico e, dunque, nel manifatturiero – si registra una carenza di figure specializzate che costringe alcune aziende, per un verso, a rinunciare agli ordini che a valanga stanno giungendo nel Salento per conto dei grandi marchi e, per l’altro, a rivolgersi sempre più al nord per reperire le competenze richieste dal mercato.
In termini complessivi nel Tac salentino, dal 1996 a 2014 sono stati persi oltre 13mila posti di lavoro e 900 sono le attività che hanno chiuso. In particolare, dal 2007 al 2014, 4065 posti di lavoro sono andati in fumo, 1679 solo nell’abbigliamento. Non c’è un comparto che abbia subito una involuzione di simili dimensioni. La formazione e la riqualificazione di operai e figure tecniche su produzioni di alta qualità, quale oggi è quella richiesta alle nostre aziende, rappresenta una via d’uscita alla quale, ora, Università e Confindustria Lecce hanno deciso di dare impulso. E’ il primo vero passo verso un futuro - Industria 4.0 - che altrove è già iniziato da tempo. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia