«Non è vero che qualcuno deve morire per permettere a qualcun altro di continuare a vivere. Donare un organo, donare una parte di sé, è l’atto...
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la loro è una storia unica: tre anni fa, indirizzata da una nefrologa dell’ospedale di Campi Salentina, ha contattato l’ospedale Carreggi di Firenze, dove ha incontrato la nefrologa Alda Larti e due medici che fanno parte della sua equipe, Sergio Serni e Marco Carini, che l’hanno presa in cura, e lo scorso 12 marzo l’hanno sottoposta a un trapianto di rene. «Un triplo trapianto, il primo in Italia – chiarisce Assuntina – e io sono stata fortunata a incontrare medici così preparati e scrupolosi che hanno studiato la mia cartella clinica e quella di altri pazienti, mettendole in relazione anche con quelle dei donatori, tra cui mio marito, che si è offerto di donarmi il suo rene tre anni fa. E hanno trovato l’incastro. La straordinarietà dell’evento e delle tre operazioni, eseguite in due giorni consecutivi, è che ogni trapiantato, siamo in tre, ha ricevuto il rene donato dal familiare di un altro paziente».
Infatti Assuntina, da tempo in dialisi e in attesa di trapianto, era solo un anello della catena costruita con pazienza dai medici. Assuntina, che arrivava dal Salento, era compatibile con il padre di un ragazzo di 21 anni, egiziano, che voleva donare il suo rene al figlio, con cui però non c’era perfetta compatibilità. Antonio, il marito di Assuntina, era compatibile con una 52enne ungherese dializzata. E il ragazzo egiziano era compatibile con il marito della 52enne. «Non dovevamo incontrarci e non dovevamo sapere niente l’uno dell’altro – racconta Antonio – e invece quando ci siamo incontrati nei reparti per gli stessi prelievi e abbiamo capito subito che ognuno di noi avrebbe donato un pezzo di sé all’altro. Che i nostri familiari avrebbero avuto una seconda chance grazie al nostro gesto».
Un gesto quanto mai importante, dal momento che un trapianto di organo da donatore vivente dà un’aspettativa di vita lunga 30 anni, ed una minore probabilità di rigetto. Sorride Assuntina quando pensa al gesto del suo Antonio: «Mio marito è di poche parole, in tanti anni raramente ha detto un “ti amo”, ma quando si è offerto di donarmi il suo rene ha fatto un gesto che vale molto più delle parole non dette in questi anni». Purtroppo poi non ha potuto donarmi il suo, ma quando ha dovuto scegliere di far parte della catena e di donarlo a un’altra persona non si è tirato indietro, anche se poteva farlo». «Non mi sarei mai tirato indietro - chiosa Antonio –: avevo preso un impegno verso i medici e verso la persona che lo avrebbe ricevuto, e che ora sta bene proprio come mia moglie». Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia