Metti una legge, invece che un'altra. Un articolo, invece di un altro. E il guaio è presto fatto. Risultato: la casa abusiva che doveva essere abbattuta, resterà...
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Quel provvedimento, intitolato Acquisizione al patrimonio comunale lotto di terreno con fabbricati di proprietà di Marco e Lia, era propedeutico alla demolizione.
Cosa è accaduto? Per comprenderlo bisogna fare un passo indietro nel tempo, fino al 2009. Quell'anno, il settore Affari tecnici del Comune scrive a Marco e Lia, comunicando di aver avviato alcune verifiche sullo stabile e il terreno di loro proprietà nel feudo Sinopie Grandi, lungo la provinciale Martano-Borgagne. Dopo quell'istruttoria il Comune contesta ai due cittadini la realizzazione di opere abusive e, nel 2010, firma una prima ordinanza, con la quale ordina a Marco e Lia di demolire tutto. A quel punto, i due chiedono all'ente un permesso di costruire in sanatoria. Chiedono, cioè, di poter rimediare a quegli abusi, possibilità che il Comune nega loro. Con una ordinanza del 9 giugno 2010, l'ente stabilisce la demolizione del manufatto abusivo, assegnando ai proprietari 90 giorni di tempo per procedere. Segue un primo contenzioso giudiziario, che finisce su un binario morto: è il 2013 e i giudici lo dichiarano perento, ossia morto. Forse, però - è legittimo supporlo - il Comune non se ne accorge.
Così, sette anni dopo, nel 2017, i vigili urbani fanno un secondo sopralluogo a Sinopie Grandi. E scoprono che Marco e Lia non hanno demolito alcunché. Non solo. Scoprono anche che le opere abusive «sono frazionate e diffuse su tutta l'area di proprietà». Il Comune, a quel punto, decide per il pugno di ferro e stabilisce di acquisire tutto - terreno ed edificio - al patrimonio comunale, passaggio indispensabile per poter demolire. Marco e Lia si affidano all'avvocato Millefiori e presentano nuovamente ricorso al Tar contro il Comune. E stavolta vincono: perché nell'ordinanza - spiegano i giudici - l'ente avrebbe dovuto fare riferimento a un diverso articolo di una legge del 2001: invece, funzionari e dirigenti comunali hanno costruito quel provvedimento sull'articolo di legge sbagliato, impedendo - di fatto - l'acquisizione al patrimonio pubblico di quei beni abusivi e rendendo impossibile la loro demolizione. «La mancata menzione di siffatte disposizioni nell'ingiunzione a demolire - chiariscono i giudici, citando numerose sentenze dei Tar di Campania e Piemonte - rende, in caso d'inadempimento, non ammissibile la successiva apprensione del bene da parte del comune», anche perché «il soggetto intimato non è stato posto affatto nelle condizioni di conoscere in anticipo a quali conseguenze, incidenti sul proprio diritto dominicale, sarebbe andato incontro nel caso d'inottemperanza all'ingiunzione». Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia