«Dovete demolire», ma il Comune sbaglia legge. La casa abusiva resta lì

«Dovete demolire», ma il Comune sbaglia legge. La casa abusiva resta lì
di Paola ANCORA
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Domenica 18 Agosto 2019, 09:00 - Ultimo aggiornamento: 12:03
Metti una legge, invece che un'altra. Un articolo, invece di un altro. E il guaio è presto fatto. Risultato: la casa abusiva che doveva essere abbattuta, resterà dov'è: i proprietari, dopo una lunga battaglia giudiziaria, l'hanno avuta vinta. Perché per dieci anni non hanno demolito l'edificio abusivo, come gli era stato ordinato di fare. E quando il Comune se n'è accorto e ha deciso di procedere per conto suo, si è appellato alla legge sbagliata, vanificando ogni provvedimento. La storia paradossale che è finita all'attenzione del Tar Lecce viene da Martano. I giudici hanno accolto in toto il ricorso presentato dall'avvocato Tommaso Millefiori, per conto di due martanesi, che chiameremo Marco e Lia, annullando la determina dell'11 luglio 2017, firmata dal responsabile del settore Affari tecnici del Comune.

Quel provvedimento, intitolato Acquisizione al patrimonio comunale lotto di terreno con fabbricati di proprietà di Marco e Lia, era propedeutico alla demolizione.
Cosa è accaduto? Per comprenderlo bisogna fare un passo indietro nel tempo, fino al 2009. Quell'anno, il settore Affari tecnici del Comune scrive a Marco e Lia, comunicando di aver avviato alcune verifiche sullo stabile e il terreno di loro proprietà nel feudo Sinopie Grandi, lungo la provinciale Martano-Borgagne. Dopo quell'istruttoria il Comune contesta ai due cittadini la realizzazione di opere abusive e, nel 2010, firma una prima ordinanza, con la quale ordina a Marco e Lia di demolire tutto. A quel punto, i due chiedono all'ente un permesso di costruire in sanatoria. Chiedono, cioè, di poter rimediare a quegli abusi, possibilità che il Comune nega loro. Con una ordinanza del 9 giugno 2010, l'ente stabilisce la demolizione del manufatto abusivo, assegnando ai proprietari 90 giorni di tempo per procedere. Segue un primo contenzioso giudiziario, che finisce su un binario morto: è il 2013 e i giudici lo dichiarano perento, ossia morto. Forse, però - è legittimo supporlo - il Comune non se ne accorge.

Così, sette anni dopo, nel 2017, i vigili urbani fanno un secondo sopralluogo a Sinopie Grandi. E scoprono che Marco e Lia non hanno demolito alcunché. Non solo. Scoprono anche che le opere abusive «sono frazionate e diffuse su tutta l'area di proprietà». Il Comune, a quel punto, decide per il pugno di ferro e stabilisce di acquisire tutto - terreno ed edificio - al patrimonio comunale, passaggio indispensabile per poter demolire. Marco e Lia si affidano all'avvocato Millefiori e presentano nuovamente ricorso al Tar contro il Comune. E stavolta vincono: perché nell'ordinanza - spiegano i giudici - l'ente avrebbe dovuto fare riferimento a un diverso articolo di una legge del 2001: invece, funzionari e dirigenti comunali hanno costruito quel provvedimento sull'articolo di legge sbagliato, impedendo - di fatto - l'acquisizione al patrimonio pubblico di quei beni abusivi e rendendo impossibile la loro demolizione. «La mancata menzione di siffatte disposizioni nell'ingiunzione a demolire - chiariscono i giudici, citando numerose sentenze dei Tar di Campania e Piemonte - rende, in caso d'inadempimento, non ammissibile la successiva apprensione del bene da parte del comune», anche perché «il soggetto intimato non è stato posto affatto nelle condizioni di conoscere in anticipo a quali conseguenze, incidenti sul proprio diritto dominicale, sarebbe andato incontro nel caso d'inottemperanza all'ingiunzione».
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