Ci sono posti in cui la storia sembra non passare mai. Uno di questi è Masseria Boncuri, alle porte di Nardò, il luogo dove, nell'estate del 2011 alcuni...
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Alle spalle di questo improvvisato punto ristoro, circondato da grate metalliche, ci sono gli 80 containers, bianchi come il latte, del cosiddetto campo istituzionale, inaugurato nel 2017, alla presenza di Michele Emiliano e Pippi Mellone, sindaco della cittadina, per accogliere i lavoratori migranti che ogni anno si riversano nelle campagne di Nardò per la raccolta dell'anguria e del pomodoro. Ma sia le istituzioni, sia l'accoglienza, sono oggi molto lontani da questo luogo. Il campo è chiuso, sigillato, una catena e un lucchetto serrano il cancello, nonostante centinaia di lavoratori siano arrivati qui da tempo. Ci avevano creduto che c'era un campo per loro, pronto ad accoglierli. E quindi si sono messi qui ad aspettare, fiduciosi, in attesa che il cancello si aprisse. Sono passati i giorni e hanno iniziato a stendere i cartoni per terra, proprio sull'uscio dell'entrata, a disfare gli zaini, a organizzarsi come meglio potevano.
Naim, ragazzo sudanese di 36 anni, è sdraiato sopra un cartone, aspetta qui, in attesa di essere ingaggiato come bracciante. Gioca al cellulare, alcune mosche ronzano sui resti di un'anguria. Risponde alle domande con l'indolenza di chi sta ripetendo un ritornello petulante, di chi è convinto che le cose non sono mai cambiate e non cambieranno mai. La sera, quando finisce il lavoro nei campi, il numero dei migranti aumenta: sono una cinquantina le persone che dormono negli spazi esterni alla Masseria Boncuri, sotto gli alberi, in attesa che venga aperto il cancello. Ogni tanto passa la polizia e corrono a nascondere tra i cespugli, come fosse una refurtiva, il fornelletto da campeggio e la bombola del gas che usano per cucinarsi un pasto caldo ma che non rappresenta il massimo della sicurezza.
Un altro centinaio di lavoratori ha trovato riparo nei casolari sparsi nelle campagne, in alcuni casi occupandolo, in altri trovando un accordo con il proprietario dell'appezzamento. Ruderi dove vivono anche in 15 persone, in spregio a ogni precauzione contro il coronavirus.
Nei prossimi giorni arriveranno altri lavoratori. Almeno un centinaio dalla Sicilia. Le misure di prevenzione e contrasto al Covid-19, neanche a dirlo, sono inesistenti. La promiscuità è totale, si dorme all'aperto sdraiati uno accanto all'altro. Nell'erba alta e ormai ingiallita i passi hanno solcato dei piccoli sentieri dove i ragazzi vanno in bagno, se così si può definire. Le condizioni igienico sanitarie sono inesistenti: non hanno acqua, né spazi o strumenti per la minima sussistenza.
«Quest'anno, a causa del Covid-19, si è parlato di fare ancora più attenzione ma la situazione è questa. Ci sono almeno 200 persone che vivono in strada o assembrati nei casolari, senza nessun tipo di precauzione, in attesa di sapere quando aprirà il campo. Negli ultimi due tavoli prefettizi abbiamo sollecitato le istituzioni ma al momento non abbiamo notizie circa una data certa sull'apertura», dice Angelo Cleopazzo, dell'associazione Diritti a Sud, che ogni giorno fa visita ai lavoratori.
Eppure il campo doveva essere aperto da un pezzo. Il 27 maggio scorso il Prefetto aveva disposto l'immediato allestimento del campo e il sindaco di Nardò, Pippi Mellone, stabilì in una settimana il tempo per predisporlo. Il 6 giugno scorso un altro tavolo e le ultime decisioni, quelle che, nelle intenzioni, dovevano essere le ultime prima dell'apertura: la Regione aveva individuato nella Croce Rossa l'ente gestore e in chiave anti-Covid il campo doveva predisporsi di triage, test sierologici e una struttura di quarantena. Prevenzione e accoglienza sono rimaste solo due parole. E di sentire parole è stanco anche Niam, preferisce tornarsene sul cartone, a contemplare le grate metalliche che gli impediscono di raggiungere una doccia, un letto, un minimo di dignità. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia