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Reclutavano manodopera nei ghetti dei migranti della provincia di Foggia, mediante un caporale africano, e la sfruttavano per i lavori nei campi: questa mattina, i carabinieri della Compagnia di San Severo, in provincia di Foggia, e del Comando per la tutela del lavoro (Nil) del capoluogo dauno, unitamente a militari della Sat 11° Reggimento Puglia, hanno eseguito un'ordinanza cautelare a carico di cinque persone (2 in carcere, 1 agli arresti domiciliari e 2 sottoposte all'obbligo di dimora) con le accuse di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico e truffa.
Inoltre i militari hanno sequestrato a scopo preventivo le sedi operative, i beni mobili registrati e gli immobili, con conseguente assoggettamento a controllo giudiziario, di quattro aziende agricole. Il provvedimento è stato emessodal gip del Tribunale di Foggia.
L'operazione, denominata "Job&Pay" - iniziata a seguito di un incidente stradale avvenuto in una mattinata del mese di ottobre del 2020 e nell'ambito del quale veniva coinvolto un furgone con a bordo cinque braccianti agricoli di etnia africana, ha coinvolto una moltitudine di italiani e stranieri, così arrivando alla contestazione dei reati accertati nel periodo da ottobre 2020 a novembre 2021 nella provincia di Foggia, in particolare nei territori di San Paolo Civitate, Lesina, Chieuti, Serracapriola, San Severo e Poggio Imperiale.
Documenti falsi e nessuna formazione
Nessuno dei braccianti, inoltre, aveva ricevuto una formazione adeguata, né i dispostivi di protezione previsti.
Infine, oltre alle misure personali, l'operazione ha consentito il sequestro di beni per un valore complessivo di circa 3 milioni di euro e la sottoposizione a controllo giudiziario di ben 4 aziende agricole riconducibili alle persone colpite da misura cautelare, con un fatturato annuo di circa 1 milione di euro.
L'indagine
L'indagine è cominciata a seguito di un incidente stradale avvenuto nell'ottobre 2020 di un furgone con a bordo 5 braccianti agricoli africani e ha interessato i territori tra San Paolo Civitate, Lesina, Chieuti, Serracapriola, San Severo e Poggio Imperiale, nel Foggiano. I militari hanno accertato che i datori di lavoro indagati si avvalevano, per il reclutamento di manodopera, di un «caporale» senegalese. Il reclutamento degli operai avveniva tra le baracche del Ghetto di Rignano, a San Severo (Foggia). Il caporale, normalmente assunto in una delle aziende coinvolte nell'inchiesta, oltre a percepire un regolare stipendio, riusciva a sottrarre ai braccianti la somma di 50 centesimi per ogni cassone raccolto e la somma di euro 5 per il trasporto sul luogo di lavoro. Ogni bracciante, invece, percepiva una paga fra i 3,70 e i 4 euro per ogni cassone di pomodori raccolto, oppure una retribuzione oraria di circa 4 euro. Gli orari arrivavano anche a 11 ore al giorno, senza riposi settimanali. Le aziende mettevano a disposizione dei lavoratori capannoni adibiti a dormitori con servizi igienici totalmente inadeguati, con scarichi ed allacci (idrici ed elettrici) abusivi e in assenza delle condizioni minime di abitabilità.
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