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Stop al reddito di cittadinanza dopo 18 mesi per chi non lavora. La stretta, una volta a regime, produrrà un risparmio di 1,8 miliardi di euro, secondo le stime del governo, sugli 8 che oggi costa il sussidio dei Cinquestelle. «Già nel 2023 la spesa per lo strumento potrebbe calare di 600 milioni», ci spiega il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon. Risorse che contribuiscono a garantire le coperture necessarie per Quota 103, la soluzione a cui lavora il governo per evitare un brusco ritorno alla Fornero a gennaio, misura che nel complesso dovrebbe assorbire 700 milioni di euro. Nel mirino: 800mila occupabili del reddito di cittadinanza, che ora rischiano seriamente di perdere l’aiuto. Chi sono? Attualmente, dicono i dati Anpal, 660mila beneficiari del reddito di cittadinanza sono tenuti alla sottoscrizione del patto per il lavoro nei centri per l’impiego. Altri 173mila percettori risultano titolari di un contratto di lavoro, però non guadagnano abbastanza e quindi continuano a ricevere l’assegno. Parliamo perciò di più di 800mila persone, su 2,5 milioni di cittadini raggiunti dal sussidio, che il governo si appresta ad accompagnare all’uscita.
LA STRETTA
Allo studio una stretta graduale: scaduti i primi 18 mesi di reddito, i percettori considerati attivabili potrebbero avere diritto solo a un sostegno economico per la formazione, finanziato con i fondi europei, per al massimo sei mesi.
Reddito di cittadinanza, chi va incontro allo stop al sussidio
L’idea è di disattivare la tessera in futuro già dopo il primo rifiuto. All’inizio erano consentiti tre no, poi il governo Draghi, con la scorsa legge di Bilancio, ha ridotto a due le proposte di lavoro che possono essere respinte dai beneficiari attivabili senza incorrere in sanzioni. Una mossa che tuttavia non ha sortito l’effetto sperato: il reddito di cittadinanza continua a rivelarsi un flop sul fronte degli inserimenti lavorativi, considerato che meno di un percettore occupabile su cinque (il 18%) lavora.
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Quotidiano Di Puglia