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Segnali di stanchezza per il Made in Italy» titolava martedì 2 maggio un’agenzia di stampa sull’anticipazione che l’Istat aveva diffuso in mattinata. In effetti a marzo, dopo due mesi di crescita, l’export verso i Paesi extra Ue27 ha segnato una riduzione del 4,6 per cento su base mensile.
Nel dettaglio, spiegava l’Istat, per il terzo mese dell’anno l’interscambio commerciale con i Paesi non appartenenti all’Unione si registra una diminuzione congiunturale per entrambi i flussi, molto più ampia per le importazioni (-12,9%) rispetto alle esportazioni (-4,6%). La diminuzione su base mensile dell’export è spiegata soprattutto dal calo delle vendite di beni di consumo non durevoli (-11,9%), ma soprattutto si sono rivelate in forte contrazione le esportazioni di energia (-27%) mentre sono aumentate quelle di beni di consumo durevoli (+2,7%) e, in misura contenuta, di beni strumentali (+0,7%) e di beni intermedi (+0,3%). Questo è quanto dicono i freddi numeri.
QUADRO VITALE
E tuttavia va segnalato che la flessione di marzo si inserisce in un quadro che resta di grande vitalità. Infatti nel primo trimestre 2023, rispetto al trimestre precedente, l’export è aumentato dell’1,3%, trainato in particolare dalle maggiori vendite di beni di consumo non durevoli (+9,2%). Sicché su base annua è cresciuto del 6,6% (da +17,2% di febbraio). A esclusione della voce energia (-19,9%), la crescita riguarda tutti i raggruppamenti ed è più sostenuta per i beni strumentali (+10,6%) e i beni di consumo non durevoli (+8%). Quanto agli aspetti geografici, a marzo l’export risulta in aumento in termini tendenziali verso il gruppo Mercosur (+28%), Cina (+26,3%), Turchia (+25,4%), Asean (+20%) e Stati Uniti (+9,3%); per contro, si sono ridotte le vendite verso il Giappone (-9,8%), la Svizzera (-9,3%), il Regno Unito (-7,9%) e i Paesi Opec (-3,6%). Detto ciò, l’Istat segnala che il surplus commerciale con i Paesi extra Ue27, sostenuto dal forte avanzo nell’interscambio di prodotti non energetici, è pari a 8.455 milioni, il più alto da oltre trent’anni. Il che non cancella le incertezze che si sono paventate con i dati di marzo. Nello scenario elaborato dal centro studi di Confindustria si spiega infatti che «sia le esportazioni italiane di beni e servizi sia le importazioni, dopo la forte espansione nel 2022 non sfuggiranno al generale rallentamento nel 2023».
LA CONFINDUSTRIA
Secondo Confindustria, questa forza dell’export aiuta a spiegare, in generale, la grande resilienza mostrata dall’industria italiana nell’annus horribilis sul fronte dei costi che è stato il 2022. Ma ha inciso, secondo l’ufficio studi degli industriali, anche la solidità mostrata dalle piccole e medie imprese e la tenuta dei margini in alcuni settori della manifattura che ha reso possibile alimentare produzione e investimenti. Per il futuro, però, «particolare attenzione occorrerà prestare alla perdita di competitività cui sono esposti i settori energy intensive che, più di altri, hanno contribuito alla riduzione dei consumi di energia lo scorso anno contraendo la produzione». I prezzi dell’energia, sebbene decisamente più bassi dello scorso anno, rimangono infatti elevati e comunque più alti di quelli registrati nelle economie fuori Europa. Resta il fatto che sempre l’Istat ha anticipato per quest’anno una crescita del Pil probabilmente di molto superiore all’1% visto che la crescita già acquisita ruota attorno allo 0,8% grazie alla tenuta dell’export. «Ma attenzione – avverte il presidente degli industriali Carlo Bonomi in una recente intervista al Messaggero – Se è vero che questi numeri fanno ben sperare, è però anche vero che è pericoloso pensare che l’industria italiana possa continuare a fare da sola. Noi abbiamo dimostrato di saper fare bene il nostro mestiere ma la politica deve avere chiaro che senza vere e serie misure per la competitività sarà sempre più difficile ottenere questi risultati».
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