Le sculture “da camera” di un leccese napoletano

Le sculture “da camera” di un leccese napoletano
Sono pochi gli scultori che, nell’ambito della figurazione, sono riusciti a raggiungere un elevato grado di riconoscibilità, per tecnica e ancor più per i...

Continua a leggere con la Promo Speciale:

X
Offerta Speciale
ANNUALE
19 €
49,99€
Per 1 anno
SCEGLI
MENSILE
2 €
4,99€
Per 12 mesi
SCEGLI
2 ANNI
40 €
99,98€
Per 2 anni
SCEGLI

VANTAGGI INCLUSI

  • Tutti gli articoli del sito, anche da app
  • Approfondimenti e newsletter esclusive
  • I podcast delle nostre firme

- oppure -

Sottoscrivi l'abbonamento pagando con Google

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno

Sono pochi gli scultori che, nell’ambito della figurazione, sono riusciti a raggiungere un elevato grado di riconoscibilità, per tecnica e ancor più per i soggetti trattati. Un’esclusività di temi che nel corso del Novecento ha avuto illustri rappresentati (le Pomone di Marini o i cardinali di Manzù sono tra i casi più celebri) ma che si individua con maggiore difficoltà in quel vasto coacervo rappresentato dalla scultura napoletana di fine Ottocento, tutta tesa a rappresentare realisticamente una società variopinta, ora festante ora derelitta, il più delle volte in una visione “oggettiva”, senza giudizi né condanne. 

L'artista dei "bambini festanti"

In questo contesto di uniformità, che vede in Gemito l’indiscusso protagonista, il leccese Francesco De Matteis (Lecce, 1852 - Napoli, 1917) si colloca in modo autonomo, di fatto originale. Le sue composizioni di bambini festanti, colti nell’atto di improvvisare concertini nel corso di feste popolari, costituiscono una sua peculiarità: sono sue e a lui immediatamente rimandano. Lo comprese bene, già al principio del secolo scorso, Enrico Giannelli, anche lui salentino e artista di scuola napoletana, nonché profondo conoscitore dei suoi contemporanei. Di De Matteis nel suo volume biografico “Artisti napoletani viventi” del 1916 ebbe a scrivere che quei gruppetti di bambini musicanti, da un minimo di due a un massimo di otto, “avevano una caratteristica speciale, erano riconosciuti anche da lontano, a prima vista, senza bisogno di dare uno sguardo alla firma”.

Di questo soggetto ad alto tasso di napoletanità De Matteis ha fatto un genere identificativo, in grado di procurargli non poco successo, come attesta la diffusione di sue sculture in collezioni pubbliche e private, salentine e non, con una netta predominanza proprio dei suoi tanto ricercati - ieri e oggi - fanciulli musicanti.
Una mostra organizzata dal Must di Lecce, curata da Claudia Branca, direttrice dello stesso Museo, e Massimo Guastella, docente di Storia dell’Arte Contemporanea all’Università del Salento, riscopre oggi per intero l’attività di questo talentuoso scultore. 

L’iniziativa si inserisce in una programmazione museale in fieri, iniziata nel 2018 con la mostra “Arte fuori dal Comune” (da cui ha preso corpo il nucleo in permanenza della collezione cittadina, ospitato nelle sale al secondo piano) e proseguita con le retrospettive dedicate a Marianna Elmo e a Giancarlo Moscara, che come obiettivo prioritario ha quello, come dichiarato dalla direttrice, “di dare, di volta in volta, spazio e visibilità ad alcuni degli artisti, già presenti nella sezione permanente del Must dedicata alla Raccolta del Comune di Lecce, che, nonostante le riconosciute qualità artistiche, non solo sono stati sino ad oggi poco studiati ma, soprattutto, sono assai poco conosciuti nella loro città natale”. Un obiettivo da perseguire avvalendosi di studiosi, pugliesi e non, in grado di inquadrare le singole personalità in un contesto più ampio e soprattutto di assicurare quel rigore scientifico che sempre è necessario in operazioni di tal specie. A questo scopo è funzionale il comitato scientifico di cui si avvale la mostra di De Matteis, che, oltre ai curatori, include Raffaele Casciaro, direttore del Dipartimento Beni Culturali dell’Università del Salento, Lia De Venere, già docente Accademia di Belle Arti di Bari, Diego Esposito, direttore del Museo Circolo Artistico Politecnico di Napoli, Alfonso Panzetta, docente Accademia di Belle Arti di Bologna, e Isabella Valente, docente all’Università Federico II Napoli.

A una vita intensa, costellata da opere pregevoli e riconoscimenti importanti, dà pieno merito la mostra leccese, che raccogliendo oltre cinquanta sculture dell’artista ne mette in luce maestria ed inventiva, la prima tesa a modellare con virtuosismo terracotta e bronzo, la seconda a rinnovare temi cari alla tradizione partenopea. Ideale punto di partenza del percorso espositivo è “Ritorno a Piedigrotta”, unica opera di De Matteis in collezione comunale. Si tratta del soggetto che più di ogni altro lo ha reso celebre, pre e post mortem. L’opera raffigura otto fanciulli impegnati a danzare e a suonare gli strumenti tipici della tradizione musicale napoletana: il tamburello, la fisarmonica, la caccavella, la triccaballacca. Primum movens dell’invenzione è la festa partenopea che ogni anno si ripeteva la notte tra il 7 e l’8 settembre a Piedigrotta. Esposto in diverse occasioni (Roma 1895-96, Torino 1896, Milano e Napoli 1897), il soggetto è stato replicato più volte, in toto o in parte, come attestano i gruppi bronzei “Nel circo” e “Concerto di bambini”, uno dei quali conservati nel Museo Castromediano di Lecce. 

Le "Sculture da camera"

Sculture da camera”, così definite per le loro piccole dimensioni, care al collezionismo borghese, che ha continuato a richiederle anche nel secondo dopoguerra, alimentando una sconfinata produzione di genere, supportando artisti di talento ma anche una pletora di replicanti ed epigoni. Una ritrattazione costante quella di De Matteis, replicazione ad libitum, che se da un lato ha il merito di identificarlo senza possibilità di errore, dall’altro cela l’insidia dell’errore storiografico. Da questo mette in guardia Guastella nel suo saggio, quando, al momento di fornire una condotta metodologica nell’approccio allo scultore, tesa a individuare “fasi ben precise di linguaggio e poetica” avverte: “La fusione di stessi soggetti, reiterati più volte negli anni, sulla medesima forma o con minime varianti - raramente datati, in qualche caso non direttamente di sua mano ossia replicati autonomamente da fonderie con risultati differenti – non è d’aiuto”. 

La mostra mette finalmente ordine. Parte da quella riconoscibilità, indaga i cambiamenti e le ragioni dell’artista, “fino ad inquadrarne dialetticamente la produzione nell’ambito dei comuni linguaggi e delle poetiche espresse nel vasto panorama della cultura artistica verista contemporanea”.

Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia