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Cara Lecce, ti scrivo così ti distraggo dal presente, ricordandoti il trascorrere delle stagioni lontane che hanno colorato i tuoi mille venti. C’è stato un decennio, iniziato ormai esattamente mezzo secolo fa, in cui hai cambiato faccia più che in altre stagioni, sei diventata più “moderna” seguendo l’onda del mondo di allora. Ma poi però, con il tuo passato ti sei mai riconciliata? Cento, mille, trecentomila volte Lecce: quando si guarda indietro si scoprono tante città diverse che in qualche modo oggi sopravvivono affastellate una sull’altra, spesso senza sfumature, ma impastate in un grande “mare magnum”. Basta guardare ancora oggi Piazza Mazzini, il fulcro brillante della città “nuova” che ormai ha superato i 50 anni (e non ha mai risolto i suoi problemi, dal traffico ai parcheggi fino, due passi più in là, agli eterni resti dell’ex Caserma Massa che sono un’indecente ferita aperta, ecc…).
Lo studioso instancabile Michele Mainardi nell’ultima delle pubblicazioni in cui sta ricostruendo il Novecento leccese racconta “Lecce negli anni Settanta” (edizioni Grifo; 15 euro; pagine 248), o almeno racconta alcuni contorni di quell’epoca della città troppo complessa e articolata per poter essere racchiusa in un solo libro, seppur ricco di fotografie dell’epoca, di testimonianze e di testimonianze e ricostruzioni ormai introvabili.
I cambiamenti urbanistici per spiegare il progresso
L’attenzione, in queste pagine densissime, si concentra soprattutto sullo sguardo urbanistico pregnante di quel decennio di grandi modificazioni sociali a cui seguirono le risposte urbane, e viceversa. Lecce appare sospesa tra nuove aperture e ambiziosi progetti e vecchie colpe e dimenticanze, sospinta da alcune istituzioni che in quegli anni decollarono, come l’Università di Lecce, dalla squadra di calcio che arrivò in serie B e anche dai costumi più moderni che, illuminando ad ampio spettro quella piccola società, andarono a svecchiare l’andamento sonnacchioso (rispetto alle tante novità dei Settanta nel resto del Belpaese) della cittadina di provincia, sempre altera quanto smarrita in se stessa.
Le sollecitazioni dei giornali alle amministrazioni cittadine
Scrive Mainardi: “la rivitalizzazione dell’intra moenia restava – in buona sostanza – nel ‘libro dei sogni’ della politica locale, afflitta dalla malattia contagiosa degli annunci ai quali non seguivano i fatti: di rifiorimento urbano”. Compaiono tra le pagine le prese di posizione della stampa locale, dalla “Tribuna del Salento” alla “Voce del Sud” fino a “L’Ora del Salento” che spesso incalzavano le varie amministrazioni, e altre volte le seguivano pedissequamente nel loro farneticare (come le dichiarazioni sul cantiere dell’ex Caserma Massa e le annunciate “rapide” soluzioni). Il libro si muove seguendo alcune tematiche dello sviluppo leccese di quegli anni, viste e riviste da prospettive diverse attraverso la stampa locale e poi anche da narrazioni anche letterarie (la bibliografia della pubblicazione è molto interessante). Alcuni capitoli riguardano la Chiesa e il contributo che dette in quegli anni alla crescita di alcune zone delle periferie. In particolare viene ricordato l’attivismo del vescovo architetto Francesco Minerva che riusciva a svicolare i cavilli ingombranti della burocrazia organizzandosi per costruire nuove chiese.
Le periferie diventano nuovi centri
Soprattutto si seguono le operazioni svolte nelle periferie che diventeranno nuovi centri: nascono allora ad esempio San Domenico Savio che creerà intorno il quartiere dei Salesiani, così come San Sabino alla 167, zona che si era andata estendendo già dal decennio precedente, ma era sempre più carente dei servizi essenziali: scuole, asili ecc. Cambia la città, e le fotografie scelte per illustrare questa pubblicazione mostrano tanti cantieri, una città vista dall’alto ancora vuota e diversa, ma raccontano anche i grandi movimenti giovanili che, seppur nella ristretta misura di una città periferica e che amava sentirsi borghese, invadevano le vie del centro. Sia quello storico in piazza Sant’Oronzo (che era quasi un limite, non l’inizio com’è oggi e difficilmente veniva superato da chi non abitava al di là del Duomo) e in piazza Mazzini sempre più centro pullulante di giovanotti di buona famiglia che avevano colonizzato i palazzoni moderni del quartiere nuovo e amavano sfrecciare in moto o sostare davanti ai tanti bar. Via Salvatore Trinchese era quella della passeggiata più importante, dei negozi che attiravano anche clienti del centro storico e pure della provincia che cominciavano ad arrivare a Lecce in automobile a far compere. Più che ai personaggi leccesi del tempo e alle cose che brillavano in città in quegli anni, il libro è cadenzato sullo sviluppo urbano e sociale, sulle novità che hanno dilatato quella città fino a pochi anni prima tutta racchiusa tra le sue antiche mura. “Lasciato il cuore della città al suo destino (di decadenza) – scrive Mainardi – ci si dispose a far nascere il nuovo con slancio giovanilistico. Sembrava la felicità a portata di auto: solo pochi minuti e l’oasi villettistica, nel verde di ben dosata comunità di residenze indipendenti, non sarebbe stata una esotica chimera abitativa”. La città cresceva verso fuori, con zone illustrate dagli immobiliaristi come futuristiche: un esempio è Giorgilorio venduto come “complesso residenziale che, pur trovandosi a breve distanza dai centri urbani e dai posti di lavoro, è lontano dalla congestione cittadina”.
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