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Un uomo e una donna giacciono abbracciati da 28mila anni nella Grotta delle Veneri di Parabita. Si pensava fossero solo due corpi che occupavano la stessa tomba, una rarissima sepoltura bisoma, ma, in realtà, c’è molto di più. Avevano i visi rivolti l’uno verso l’altra con le gambe intrecciate in un abbraccio nella morte che testimonia un legame in vita. Di che tipo fosse questo legame, è impossibile dirlo, ma l’intimità del rapporto tra i due è innegabile. Questa è solo una delle importanti novità che emerge dal volume “La Grotta delle Veneri di Parabita (Lecce)”, curato da Elettra Ingravallo e Renata Grifoni Cremonesi, uscito pochi giorni fa per Edipuglia, nove mesi dopo la scomparsa della paletnologa salentina. Si può dire che si tratti della sua eredità, se si considera il fatto che la Ingravallo, allieva di Giuliano Cremonesi, partecipò con lui alle campagne di scavo nella grotta effettuate fra il 1967 e il 1972, proprio all’inizio della sua carriera.
Ad individuare il sito fu, due anni prima, un appassionato di archeologia, Giuseppe Piscopo, che rinvenne anche le due celebri statuine femminili, le “Veneri”, da cui ha preso il nome la grotta, oggi custodite al MarTa di Taranto. Il volume – curato insieme alla moglie di Cremonesi, archeologa anche lei – è composto da una serie di contributi scientifici sulle decine di migliaia di reperti che mostrano la frequentazione ininterrotta della grotta dal Paleolitico Medio fino all’Età del Bronzo. «Ci sono state pubblicazioni preliminari sulle Veneri e sulla sepoltura bisoma – spiega Ida Tiberi, allieva della Ingravallo – ma lei aveva la ferma volontà di pubblicare integralmente questa mole enorme di materiali». Negli ultimi anni, Tiberi e la sua collega Giorgia Aprile sono state allieve e collaboratrici strette della paletnologa e, dopo la sua morte, hanno coordinato il lavoro fino alla pubblicazione del volume, oltre ad essere autrici di alcuni degli articoli.
Nel II millennio continua la frequentazione della grotta ma con un carattere più dimesso. Nel volume – la cui realizzazione non sarebbe stata possibile senza il supporto della Soprintendenza e dell’Università del Salento – la Ingravallo firma l’introduzione e le conclusioni, tirando le somme di un lavoro destinato a restare una pietra miliare nello studio del sito di Parabita, reso, peraltro, molto complicato dal fatto di essere stato nel corso del tempo oggetto di scavi clandestini che hanno rimescolato i reperti dal Neolitico all’età deiMetalli. «Si spera con questo volume – scrive la studiosa – di aver saldato il debito che alcuni di noi avevano contratto con la grotta, esponendo i risultati di una ricerca aggiornata con un linguaggio comprensibile a tutti che però non rinuncia al suo rigore scientifico. Comunque lo si giudichi, resta il fatto che è stato aggiunto un ulteriore tassello alla conoscenza della preistoria meridionale ed è un merito che va riconosciuto a tutti coloro che hanno collaborato e si sono impegnati per la riuscita dell’opera».
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