Le analisi confermano la tesi della difesa: non si trattava di cocaina quella ritrovata dalle forze dell’ordine in un appartamento di Villanova, ma di Novalgina. Torna in...
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Nella stessa vicenda erano coinvolte due ragazze, G.M. 21enne originaria della provincia di Salerno e G.G. 20enne della provincia di Catanzaro: entrambe assistite dal legale Francesco Sozzi sono risultate estranee alle accuse. «Il pubblico ministero, pertanto, ha chiesto la revoca della misura cautelare e l’archiviazione del procedimento penale per tutti e tre gli indagati, che possono finalmente tirare un sospiro di sollievo dopo la fine di un incubo che ha danneggiato inevitabilmente le loro vite e la loro immagine». Cosi in una nota della difesa.
I fatti risalgono allo scorso maggio. L’uomo aveva accolto in un appartamento nella frazione di Villanova le due giovani. Dall’abitazione, durante una sera, emersero presunti “schiamazzi”, che portarono gli inquirenti ad approfondire le verifiche: venne ritrovata sul tavolo un involucro di carta trasparente chiuso grossolanamente a mo’ di cipolla alle estremità con all’interno dei ritagli di carta a righe e a quadretti strappati e piegati come “francobolli” contenenti della polvere bianca che ad un primo esame (narcotest) era risultata essere sostanza stupefacente, probabilmente cocaina, nonché un normale coltello da cucina e tre tessere sanitarie, tutte sporche della medesima sostanza, oltre ad ulteriori residui di fogli utilizzati per il confezionamento delle presunte dosi.
Tutti gli elementi ritrovati portano gli investigatori a valutare la possibilità di qualche attività illecita. Considerato che l’appartamento risultava nella sola disponibilità dell’ostunese mentre le due ragazze erano sul punto di rientrare in Campania, il pubblico ministero di turno del Tribunale di Brindisi, Pierpaolo Montinaro, dispose l’arresto di Cesaria in regime di domiciliari, mentre le campane, venivano denunciate a piede libero e potevano ripartire verso casa.
In sede di udienza di convalida il 32enne ostunese, assistito dall’avvocato Pavone aveva chiarito da subito che si trattava di semplicissima “novalgina”, acquistata regolarmente in farmacia dalle due ragazze in formato liquido per normali scopi terapeutici e dalle stesse trasformata in polvere con metodi artigianali. All’esito dell’udienza, tuttavia, il giudice competente, Tea Verderosa, in attesa che venisse effettuata una perizia chimica approfondita, non concedeva la scarcerazione, disponendo unicamente dietro richiesta del difensore la sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari con quella dell’obbligo di dimora.
«Nel frattempo al Cesaria veniva impedito di fatto di svolgere ogni lavoro in quanto incompatibile con le prescrizioni connesse a detta misura e tutte le istanze - spiegano dalla difesa - volte ad ottenere i permessi necessari per svolgere l’attività lavorativa indispensabile per il sostentamento dell’indagato venivano rigettate». I risultati delle analisi chimiche, svolte dai laboratori della Polizia Scientifica di Bari, negli ultimi giorni avrebbero chiarito ogni dubbio: nei campioni analizzati si riscontrava la presenza di “aminopirina”, farmaco con proprietà analgesiche, antinfiammatorie e antipiretiche e di “noramidopirina” detto anche “metamizolo”, farmaco analgesico non steroideo distribuito con il nome commerciale di “Novalgina”, entrambi sostanze non stupefacenti. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia