OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
«Amore mio, è finito tutto. Dovrai pensare da sola al nostro bambino». È la sera del 21 febbraio scorso quando la compagna di Francesco Vitale, il pr precipitato dal quinto piano di un palazzo in via Pescaglia alla Magliana, riceve l’ultima telefonata. L’uomo verrà trovato morto il giorno successivo alle 11. Spinto di sotto o forse caduto dalla finestra, in un estremo tentativo di sfuggire ai carcerieri che lo hanno torturato per oltre dodici ore. Il sequestro lampo ha come obiettivo la riscossione di un credito di 500mila euro di droga, una partita di cocaina che non pagata. Pochi istanti drammatici, la voce rotta dalla disperazione, dal pianto e dalla paura e dalla sofferenza per il drammatico addio alla compagna che non vedrà mai più e al loro bambino di dieci mesi. Ma ancora prima i sequestratori contattano i familiari, chiedendo un riscatto per la liberazione del pr barese. Utilizzano una sim acquistata appositamente e poi rimasta in uso a Sergio Placidi, arrestato insieme a Daniele Fabrizio con l’accusa di sequestro a scopo di estorsione, aggravato dalla morte della vittima. E sempre dalla stessa utenza consentono a Vitale di chiamare la compagna, mentre è rinchiuso nell’appartamento della Magliana, evidentemente per accrescere la pressione e tentare di ottenere il denaro.
IL RISCATTO
I sequestratori chiedono come riscatto per liberare il pr 500mila euro.
IL DEBITO
Il debito Vitale se lo portava dietro da anni. Nel 2018 era già stato picchiato dagli albanesi che, dopo la morte di Fabrizio Piscitelli, guidata dall’albanese Elvi Demce, avevano preso il controllo del narcotraffico. Per gli inquirenti, l’intercettazione del 6 novembre del 2018, finita nell’indagine “Spongebob” della Squadra mobile, che a marzo del 2022 ha portato all’emissione di nove misure cautelari, si fa riferimento proprio a Vitale. Il pr barese era già stato pestato una volta per quel debito, che gli albanesi che un tempo facevano capo a Elvis Demce e intanto sono stati arrestati, hanno ceduto a un altro gruppo. Il dialogo avviene tra il pugile albanese Petrit Bardhi (detto “Titi”) e il romano Fabrizio Capogna, finito in manette due giorni fa a Fiumicino dopo un anno di latitanza. Il secondo racconta al primo: «L’altra sera, per annà a i pià uno che me doveva da’ i sordi, che stava dentro un locale, l’ho sfracellato». «E chi è questo?», chiede Bardhi. «Era un pezzo de m...», spiega Capogna riferendosi auno di Bari, poi aggiunge: «Dice “m’hanno bevuto la retta”. So’ c... tua, gli ho detto. No che scappi... io dopo un mese e mezzo te devo venì a cercà. Gli ho levato l’orologio, l’ho sfracellato». «Bravo, hai fatto bene», approva il pugile albanese. L’altro gli chiede: «Ma tu ce l’hai pe... Se me serve ‘na mano? ». Bardhi dà subito la sua disponibilità ad aiutarlo in un eventuale futuro regolamento di conti: «Vengo io, che problema c’è». Insomma, c’era già un episodio precedente per cui Vitale, sempre per un debito di droga, era finito tra le mani di criminali romani e albanesi legati al gruppo di Demce.
Quotidiano Di Puglia