Berlusconi, il ricordo di Pomicino: «Le cene romane per presentargli Letta e Andreotti»

«Il suo partito era basato sulla persona, bisognerà vedere quanto riusciranno a ricompattarsi»

Berlusconi e Pomicino
Da un’offerta per fargli da ghostwriter alle cene con Andreotti, dal mancato accordo politico nel 2000 all’idea di una candidatura sfumata nel 2008. Paolo Cirino...

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Da un’offerta per fargli da ghostwriter alle cene con Andreotti, dal mancato accordo politico nel 2000 all’idea di una candidatura sfumata nel 2008. Paolo Cirino Pomicino sfoglia il libro dei ricordi e analizza il lascito politico del Cavaliere e le prospettive future.

Pomicino, partiamo dall’inizio. Ricorda quando lo ha conosciuto?

«Sì, ero in Sardegna. All’epoca ero ministro del bilancio. Ne riconobbi subito la capacità di persuasione e l’abilità di coinvolgere tutti. L’ho rivisto di nuovo quando divenne presidente del Consiglio».

Qualche anno dopo ci fu Tangentopoli e la sua “discesa in campo”.

«Quando divenne presidente del Consiglio la prima volta gli diedi una mano. Era un grande leader ma gli mancava esperienza e cultura politica. Ricordo una delle prime discussioni: gli dissi che avrebbe dovuto cambiare il capo della polizia perché un nuovo presidente del Consiglio doveva farlo. E poi mi viene in mente una discussione particolarmente vivace quando passò all’opposizione al Governo Dini. Badava troppo all’opinione pubblica e non teneva in considerazione la gestione del voto in Parlamento. Durante la chiacchierata ci raggiunse anche Fini e gli dissi: “Vuoi spiegarglielo tu che il Parlamento ha una dimensione diversa da quella dell’opinione pubblica”?».

Quest’attività di “consulenza” quanto durò?

«Fino al 2000. Prima ancora mi offrì anche di fargli da ghost writer dietro un lauto compenso. Rifiutai e da amico gli dissi: “Non posso lasciarti la politica, è l’unica cosa che mi è rimasta”. Però continuai a dargli una mano. Ci vedemmo almeno tre-quattro volte a casa mia con Gianni Letta, Giulio Andreotti, Ortensio Zecchino e Sergio D’Antoni. Peraltro nel 2001 fondammo Democrazia europea e avevamo praticamente raggiunto un accordo per le elezioni».

Perché quell’intesa sfumò?

«Stavo ancora difendendo il mio onore nelle aule di giustizia ma volevo un’intesa per riportare un po’ di politica antica nel Parlamento e Andreotti alla presidenza del Senato. Fu lo stesso Andreotti a farlo saltare non convinto dal partito personale di Berlusconi. Fu l’unica volta che io e Giulio avemmo uno scontro». 

Poi come sono andati avanti i vostri rapporti politici?

«Dopo quell’esperienza si sono allentati. Nel 2008 ero deputato uscente ma un uomo e una donna, di cui non voglio fare il nome, lo convinsero a non ricandidarmi. Li ringrazio molto perchè il Parlamento si è lentamente involuto. In questi 15 anni ho avuto l’opportunità di occuparmi di altre cose, a partire dalla mia salute».

Quale eredità politica lascia Berlusconi?

«Ha costruito un partito personale. Quel contesto che gli avrebbe dovuto trasmettere cultura politica lo ha scopiazzato. E le copie non funzionano mai. Così oggi ci troviamo con tanti partiti personali e l’assenza di cultura politica e capacità di Governo. A Berlusconi resterà il merito storico di aver fermato la deriva post-comunista nel 1994. Inoltre ha avuto una grande capacità di resistenza all’accanimento della sinistra giudiziaria».

Crede che Forza Italia resisterà?

«Gli ho sempre detto: le tue aziende ti sopravviveranno, il tuo partito no. Si è aperta una voragine al centro. Bisognerà capire chi avrà l’intelligenza di recuperare quella cultura politica, popolare e liberale, in grado di offrire al Paese la capacità di governo smarrita in questi ultimi trent’anni».

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Quotidiano Di Puglia