Piperno: «Racconto in modo classico i temi bollenti. L'imprevedibile? Il terreno del romanzo»

Alessandro Piperno (Foto: Claudio Sforza)
Alessandro Piperno (Foto: Claudio Sforza)
di Alessandra LUPO
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Sabato 18 Maggio 2024, 04:50 - Ultimo aggiornamento: 19 Maggio, 15:42

Reduce dal Salone del libro di Torino, Alessandro Piperno sarà domenica nel Salento, dove è tra gli ospiti più attesi del Festival Armonia, Narrazioni in Terra d’Otranto.
Alessandro Piperno, partiamo da Torino. Com’è stata la sua prima volta da curatore al Salone del libro?
«Mi lasci dire anzitutto che il mio contributo a questo Salone è stato tutto sommato modesto. Insieme ad altri amici, ho offerto la mia consulenza alla direttrice, Annalena Benini curando una sezione intitolata “Come leggono gli scrittori e le scrittrici”. Ciò mi ha dato l’opportunità di fare due chiacchiere con tre colleghi che stimo molto: Claudia Durastanti, Domenico Starnone e Sandro Veronesi. Il Salone è stato un successo. Si respirava una bella aria, sia in mezzo al pubblico che tra gli editori. Ne sono felice sia per Annalena che per i suoi collaboratori. E anche per i torinesi che vanno giustamente fieri del loro Salone».
Il suo ultimo romanzo vede nuovamente in scena il professor Sacerdoti di “Di chi è la colpa”. Rispetto a quel libro, scritto nel 2021, cosa è cambiato?
«“Aria di famiglia” è il secondo volume di una trilogia che vede in “Di chi è la colpa” l’antefatto. Benché i libri siano indipendenti l’uno dall’altro, mettono in scena lo stesso personaggio, il professor Sacerdoti, in tre fasi cruciali della sua vita. Non mi aspetto che i lettori affrontino l’intera trilogia (il terzo volume lo sto scrivendo). Ma chi avesse la voglia e la pazienza di farlo, si renderà conto che c’è un’aria di famiglia che li tiene assieme. La voce del narratore, infatti, ha una particolare cadenza che mescola ironia e una buona dose di causticità».
In tanti ci hanno visto una serie di rimandi ai suoi autori più cari ma anche un’impostazione narrativa squisitamente classica in apparente contrasto con le vicende narrate, a partire da una struttura familiare inattesa e molto contemporanea. Sembra quasi che lei volesse aggiornare i contenuti senza rinunciare al rigore della forma. Ci si ritrova?
«Direi di sì, mi ci ritrovo. La narrativa che mi piace nasce sempre dall’interazione tra impianto classico e temi bollenti. Del resto, invecchiando, sto rivalutando sempre più il “romanzesco”. È stato molto divertente per me farcire questo nuovo libro di mille peripezie. I primi lettori mi dicono che si legge con divertimento e senza staccarsi. Considerando la fatica che ho fatto per scriverlo, ritengo questa facilità di lettura un buon risultato».
Nella prima parte del libro ci ritroviamo in un conflitto aperto tra accademici vecchio stampo e sostenitori dei Gender Studies. Per certi versi il protagonista sembra insofferente al perbenismo di ritorno del suo ambiente. È un sentimento che condivide?
«In realtà l’insofferenza del mio narratore è rivolta sia ai riti bizantini delle vecchie baronie accademiche che al settarismo delle nuove leve. A unire gli uni agli altri è la ricerca inesausta del potere. In questa faida sanguinaria, la letteratura occupa un ruolo del tutto marginale. Non amo chi utilizza l’insegnamento per indottrinare gli studenti. Le mie posizioni in merito sono perfettamente sovrapponibili a quelle del povero Professor Sacerdoti».
Anche in questo libro lascia che le contraddizioni emergano con forza dai suoi personaggi ma poi si ha l’impressione che in qualche modo voglia contraddire anche quelle. Nulla può essere previsto insomma?
«Sono contento che lei lo abbia notato. L’imprevedibile è il territorio di caccia del romanzo. La sua forza si esprime nella capacità di chi lo scrive e di chi lo legge di mettere in crisi qualsiasi verità. Non ho messaggi da smerciare. Mi limito a registrare la realtà dei fatti in modo accorato e perplesso».
Ultima domanda: in questi giorni è in Puglia, terra in cui ormai da molti anni si scrive parecchio. Crede che esistano delle peculiarità che accomunano le voci dei pugliesi, da Lattanzi a Lagioia passando per D’Amicis o Desiati? Esiste una cifra territoriale, qui come altrove, che le sembra di riconoscere?
«Per indole rifuggo qualsiasi forma di generalizzazione.

Non saprei dirle se esiste una nuova voga pugliese che si va imponendo nella narrativa italiana contemporanea. Mario Desiati è un amico fraterno di cui ho letto tutti i libri. La sua capacità di mescolare magia e realtà è molto suggestiva. La sua ispirazione è coerente, implacabile. In quanto agli altri, sia Lagioia, D’Amicis che Lattanzi hanno trovato il modo di affermarsi con libri complessi e crudeli. Non so se si tratti di una tipica marca pugliese, ma qualunque cosa sia mi pare che funzioni».

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