Nuovi materiali, due menti italiane dietro i piani targati Europa

Kevin Rossi, nato a Roma e ora professore alla Tu Delft, e Federico Grasselli, ora ricercatore per EPFL: «Da noi poche opportunità»

Kevin Rossi, professore aggiunto a Scienze e Ingegneria dei Materiali presso TU Delft, e Federico Grasselli, ricercatore presso il laboratorio di Scienza Computazionale e Modellizzazione dell’EPFL, in Svizzera
Kevin Rossi, professore aggiunto a Scienze e Ingegneria dei Materiali presso TU Delft, e Federico Grasselli, ricercatore presso il laboratorio di Scienza Computazionale e Modellizzazione dell’EPFL, in Svizzera
di Raffaele D'Ettorre
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Mercoledì 14 Febbraio 2024, 10:56 - Ultimo aggiornamento: 15 Febbraio, 07:41

Dall’Italia all’Europa e poi di nuovo in Italia, ma solo di passaggio.

Il tempo di un incontro romano per promuovere un progetto ambizioso davanti ad alcune delle più importanti realtà accademiche e industriali europee. D’altronde «tutte le strade portano a Roma», scherza Kevin Rossi, professore aggiunto nel Dipartimento di Scienze e Ingegneria dei Materiali alla Tu Delft. 
Per trovare la sua, di strada, Rossi la capitale ha dovuto lasciarla 13 anni fa per laurearsi in Fisica al King’s College di Londra. Poi Losanna, Zurigo, ora Delft. Non c’è malinconia nella sua voce quando ammette che «a parità di occasioni, forse sarei rimasto», solo la lucida constatazione di una diaspora, quella dei talenti italiani in Europa, che tanti suoi coetanei ritengono ormai inevitabile. 

IL QUADRO

Per capirne la portata basta sfogliare il “Libro Bianco sulle Scienze della Vita in Italia” pubblicato da The European House – Ambrosetti. Il saldo migratorio, cioè la differenza tra chi va e chi resta in Italia, nel decennio 2011-2021 è di -317.042, che diventano 1,3 milioni se al conto uniamo i tanti che mantengono la residenza qui. Quasi tutti sono ragazzi tra i 20 e i 34 anni. Uno su tre è laureato e intende avviare all’estero il suo primo percorso di ricerca. «A 31 anni è rarissimo avere in Italia le stesse opportunità di crescita che sto avendo in Olanda», afferma Rossi, che presto a L’Aia dirigerà un’iniziativa in Materials Security finanziata dalla TU Delft con un fondo di oltre un milione di euro. «Ce l’ho fatta partecipando a una selezione pubblica, non conoscevo nessuno». Nel quadro delineato da Ambrosetti, l’80% di chi rimane mette tra i guai del sistema Italia proprio la mancanza di meritocrazia.
Più ottimista circa il futuro della ricerca tricolore invece Federico Grasselli, laureato in Fisica all’UniMoRe, poi tre anni alla Sissa di Trieste e oggi di stanza a Losanna, dove è ricercatore per l’EPFL. «Non ho una posizione permanente e sto cercando anche in Italia, mi piacerebbe tornare». Perché i fuoriclasse, ammette, ci sono anche qui. «Penso al Max di Modena, centro di eccellenza europeo per le simulazioni dei materiali, che ha già raccolto fondi importanti». Un problema dell’Italia però secondo Grasselli sarebbe che «questi investimenti spesso mancano di programmaticità». Cambiano con le maggioranze? «A volte», ammette Rossi, che precisa però come il PNRR abbia «sbloccato tanti fondi che prima non c’erano». «Soprattutto – aggiunge Grasselli – ha portato a ripensare la ricerca in funzione di un partner industriale, in Europa è così da anni». 

LA SPINTA

Europa che intanto spinge sempre di più per avere i nostri talenti, al secondo posto tra i più premiati dal Consiglio europeo della ricerca, primi per citazioni di pubblicazioni scientifiche, quarti per numero di brevetti, fortissimi nelle borse di studio europee. Convincerli a tornare potrebbe essere più difficile adesso che il nuovo decreto legislativo sulla fiscalità internazionale ha tagliato alcune agevolazioni per il rientro degli expat.
Chi resta, intanto, resta più che altro all’oscuro. «In Italia ci sono diverse iniziative interessanti per la ricerca – ammette Grasselli – ma vengono pubblicizzate poco». Gli fa eco Rossi: «I ragazzi della Sapienza e del CNR intervenuti al convegno erano stupiti e contenti di sapere che queste iniziative esistono ancora, esistono a Roma, a 100 metri da loro». Coltivare quell’entusiasmo potrebbe essere la chiave per favorire anche da noi un cambio di prospettiva. «Sta crescendo tra i ragazzi italiani l’idea che non bisogna solo fare bene gli esami – spiega Grasselli - ma anche avere ben chiaro quali problemi potremo risolvere una volta fuori dall’università». 
«Che poi – aggiunge Rossi - è la stessa visione che ci ha spinto a riunire nel progetto Daemon tanti attori diversi con obiettivi comuni in tema di sostenibilità, dove la soluzione di uno può risolvere i problemi dell’altro.

Solo così possiamo pensare un futuro diverso».

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