Sale la tensione all'ex Ilva di Taranto: i lavoratori dell'indotto organizzano la protesta. I sindacati: "Bomba sociale senza precedenti"

Una protesta dei lavoratori dell'indotto
Una protesta dei lavoratori dell'indotto
di Domenico PALMIOTTI
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Mercoledì 21 Settembre 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 07:15

L’indotto ex Ilva di Taranto, con i lavoratori della metalmeccanica, dell’impiantistica, dei servizi, dei trasporti e dell’edilizia, prepara una nuova protesta a causa della insostenibilità della situazione, originata dalla più complessiva crisi di Acciaierie d’Italia.

Il rischio bomba sociale

Lo dichiarano Fim Cisl, Fiom Cgil, Uilm e Usb (metalmeccanici) insieme alle sigle sindacali di edilizia, servizi e trasporti. “Nel silenzio più totale intorno, avvertiamo più che mai - si rileva -, la possibilità di un vero e proprio corto circuito di uno degli anelli più deboli del sistema, rappresentato dagli appalti e dall’indotto”. “La terribile condizione di sofferenza rischia di far deflagrare una bomba sociale senza precedenti” affermano i sindacati, per i quali “gli impianti sono in uno stato comatoso ed i lavoratori continuano ad operare in condizioni di disagio continuo”. “Sicurezza sul lavoro e certezza della retribuzione economica dei lavoratori non possono essere soggette a pseudo-strategie e mancanza di visione, pertanto - sostengono i sindacati - siamo pronti a far valere le ragioni dei lavoratori attraverso una grande mobilitazione del sistema dell’indotto e degli appalti che annunceremo nei prossimi giorni”.

Il monito dei sindacati

 “Dalla nuova compagine politica istituzionale, a prescindere del colore, pretenderemo di prendersi le proprie responsabilità al fine di porre la parola fine alle difficoltà che attraversano i lavoratori”.

Per i sindacati, “siamo dinanzi ad un momento delicatissimo, che, in attesa che le risorse messe a disposizione dal Governo si traducano in fatti, deve vedere un’assunzione di responsabilità da parte dell’azienda tale da contemperare ognuno dei diritti sacrosanti dei lavoratori”. I sindacati evidenziano che “utilizzo massiccio della cassa integrazione” e “scelte discutibili sulla tenuta di affidamenti degli appalti da parte di Acciaierie d’Italia, stanno determinando uno scenario surreale in cui non è più possibile attendere, né tantomeno cercare di giustificare l’ingiustificabile“.

Lo sciopero precedente


L’ultimo sciopero all’ex Ilva c’é stato il 6 maggio e fu contrassegnato dall’arrivo dell’amministratore delegato Lucia Morselli tra i manifestanti. Morselli stazionò a lungo su uno dei ponti che scavalcano la statale che scorre vicino alla direzione della fabbrica e fu bersaglio di contestazioni. Quella protesta servì ad ottenere la ripresa del confronto col Governo che, presenti i ministri Giancarlo Giorgetti (Sviluppo economico) e Andrea Orlando (Lavoro), avvenne il 23 giugno. Fu l’incontro in cui Giorgetti prospettò la possibilità di un intervento da un miliardo, con garanzia pubblica, per far uscire l’azienda dalle secche. Rappresentata dalla crisi di liquidità, mancati pagamento di indotto e fornitori, difficoltà di acquisto delle materie prime, scarsa produzione, cassa integrazione elevata e costi del gas alle stelle.

Il sostegno

All’incontro di giugno ne seguirà poi un altro il 3 agosto, nel quale Giorgetti e Orlando anticiperanno l’intervento che il giorno dopo, col Dl Aiuti Bis, il Governo avrebbe messo in campo. Un miliardo per Invitalia, partner pubblico di Mittal in Acciaierie d’Italia, autorizzandola a compiere un aumento di capitale e il rafforzamento patrimoniale della società. A questo primo miliardo, ne seguirà un altro col Dl Aiuti Ter, orientato sulla produzione del preridotto, il semilavorato di ferro che, caricato negli impianti siderurgici, riduce le emissioni inquinanti e il consumo di carbon coke e minerali. Preridotto da far produrre ad una società ad hoc, con Invitalia nel ruolo di regista dell’operazione. Ma i due miliardi, pur importanti, riguardano la prospettiva di Acciaierie d’Italia e non l’oggi, affollato di problemi e nodi da sciogliere. Anche gli imprenditori dell’indotto hanno annunciato nei giorni scorsi che fermeranno le loro attività perché la situazione è insostenibile. Ma come i sindacati, tutto è rimandato a dopo le elezioni e a quando ci sarà il Governo. Inutile mobilitarsi prima. Lo insegna anche la vicenda Ita, la nuova Alitalia: la trattativa per la vendita del 50 per cento più un’azione di Ita Airways al consorzio guidato da Certares, entrerà nel vivo dopo le elezioni.

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