Aumenta la quota rosa: Melucci chiama Viggiano per l’emergenza abitativa

Aumenta la quota rosa: Melucci chiama Viggiano per l’emergenza abitativa
di Michele MONTEMURRO
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Venerdì 28 Luglio 2017, 05:30 - Ultimo aggiornamento: 15:09
È Francesca Viggiano il settimo assessore della giunta Melucci: firma apposta ieri. La giovane avvocatessa tarantina (nella foto in alto) del Pd è la prima costretta a dimettersi dalla carica di consigliere comunale, la cui surroga sarà effettuata lunedì prossimo in Consiglio col primo dei non eletti, l’ex consigliere comunale e provinciale e già presidente della circoscrizione Paolo VI Gaetano Blè. La Viggiano è legale del Sunia (Sindacato unitario nazionale inquilini ed assegnatari) pertanto quasi sicuramente il sindaco, alla ricerca di competenze specifiche per il suo esecutivo, le avrà affidato la delega all’Emergenza abitativa e le altre ad essa connessa rispetto alle sue competenze. Una nomina che riavvicina leggermente Melucci al Pd dopo le fibrillazioni dei giorni scorsi e successivamente all’appello/richiamo di lunedì scorso del deputato Michele Pelillo (Pd). 
Ma a quanto pare la Viggiano potrebbe non essere l’ultima del suo partito ad entrare in giunta. All’appello mancherebbero altri due assessori: un altro dei dem e, se accetta, la più suffragata del Psi, Patrizia Mignolo. Trovare il secondo nome del Pd non sarà semplice perché i consiglieri più suffragati temono le azioni del sindaco: se entrassero in giunta si dovrebbero dimettere dal Consiglio, nel quale non potrebbero più tornare se il primo cittadino li estromettesse dall’esecutivo (un’ipotesi e in quanto tale probabile). Dopo un primo approccio, Melucci avrebbe richiesto nuovamente alla più votata del Psi, Patrizia Mignolo, di far parte dell’esecutivo; in un primo momento l’esponente socialista ha declinato l’invito del primo cittadino, ritenendo più opportuno rimanere in Consiglio comunale, ma ora starebbe valutando. Le deleghe in ballo sono Cultura e probabilmente Decentramento.
Rinaldo Melucci prosegue dritto per la sua strada nonostante alcuni mugugni e mal di pancia. Vincenzo Di Gregorio, il secondo più votato del Pd, ha già fatto sapere che farà opposizione dalla prima seduta di Consiglio comunale, mentre Piero Bitetti ha chiesto al sindaco di azzerare l’esecutivo. Posizioni che con molta probabilità resteranno isolate, anche se il sindaco sarebbe già corso ai ripari chiedendo due nominativi per la giunta al Pd, che è pur sempre il partito di maggioranza relativa, e uno al Psi, che conta su due consiglieri comunali. Senza il supporto di Di Gregorio e i quattro che fanno capo a Bitetti, la maggioranza scenderebbe a diciassette consiglieri su trentadue, più il sindaco. Risicata, ma pur sempre maggioranza.
 
Lunedì mattina intanto, in occasione della prima seduta di Consiglio comunale, ci sarà il primo banco di prova: l’elezione del presidente dell’assise cittadina.
Le candidature, ad oggi, sono tre: quella del consigliere più suffragato in assoluto, Lucio Lonoce (Pd), di Gianni Azzaro (Pd) e dell’ex procuratore Franco Sebastio (Mutavento). Lonoce dopo aver intuito che Melucci non lo avrebbe nominato nell’esecutivo ha virato, forte dei suoi 1800 consensi, sullo scranno più alto dell’aula consiliare di Palazzo di Città. Azzaro, come in occasione della scelta del candidato sindaco del centrosinistra, ha deciso di contrapporsi nuovamente al suo compagno di partito e ha cercato in questi giorni di raccogliere consensi tra i consiglieri, ma a differenza di Lonoce non lo ha annunciato pubblicamente perché sta ancora verificando l’appeal della sua candidatura. Sebastio può contare sulla promessa di Melucci, che rispetto al varo della giunta ha meno voce in capitolo, in quanto il presidente lo eleggono i consiglieri. Nei giorni scorsi, durante una riunione di maggioranza, il sindaco ha lanciato un aut aut ai suoi: «Se non votate Sebastio mi dimetto». La determinazione di Melucci in questi ultimi giorni ha fatto la differenza e non è escluso che se riuscisse ad offrire due assessori al Pd potrebbe ricevere il sostegno di parte dei consiglieri dem. Per eleggere il presidente, però, ci vogliono per le prime due votazioni i consensi dei due terzi dell’aula a scrutinio segreto, poi si vota a maggioranza.
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