Droga, processo "Kinnamos": 21 condanne

Droga, processo "Kinnamos": 21 condanne
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Sabato 26 Novembre 2016, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 17:35
Una pioggia di condanne e due assoluzioni. Con il robusto contorno di alcune significative assoluzioni parziali che, in qualche caso, hanno alleggerito, e non di poco, le richieste formulate dal pm. È arrivato ieri mattina, in abbreviato, il conto per gli imputati del blitz denominato Kinnamos. Ventuno le condanne disposte dal giudice di Lecce Carlo Cazzella. All’attenzione del magistrato una parte di quel procedimento in cui è sfociata l’indagine con la quale i carabinieri hanno illuminato il traffico della droga nel versante occidentale della provincia jonica. Un affare sporco in cui i militari hanno infilato le mani, risalendo al ruolo contestato ai fratelli Putignano. 
 
I carabinieri hanno denominato l’inchiesta “Kinnamos”, utilizzando il nome del più antico palagianese di cui si ha notizia. Un “calligrafo” che nella sua epoca fu un punto di riferimento per la comunità. Il ruolo che gli inquirenti continuano ad attribuire a Carmelo “Minuccio Putignano”. Il volto carismatico dei “compari di Palagiano”. Quella cosca, secondo gli investigatori, ha continuato ad essere la spina dorsale degli affari sporchi in quella parte della provincia. Compresa la catena dello spaccio inquadrata da “Kinnamos” con le redini che sarebbero state nelle mani di Fiore e Carmine Putignano, figli del vecchio boss. Secondo i carabinieri, hascisc e marijuana scorrevano a fiumi. Un quadro sul quale dopo gli arresti scattati nella primavera dello scorso anno, si sono abbattute le condanne decretate dal giudice. Il magistrato ha inflitto undici anni e otto mesi a Fiore Liberato Putignano e nove anni e undici mesi a suo fratello Giovanni Carmelo Putignano, per il quale, però, è stato escluso il ruolo di promotore.

Poi, dieci anni e quattro mesi sono stati decretati per Vincenzo Lavino, nove anni e nove mesi per Antonio Palmisano, otto anni per Antonio Casciello, nove anni e sei mesi per Ivan Cavallo, sette anni e tre mesi per Antonio Felice, quattro anni e otto mesi per Samuele Marchione, sei anni e undici mesi per Giuseppe Santoro, quattro anni e sei mesi per Fabio Tamborrino, quattro anni e sei mesi per Marco Tito, un anno di reclusione per Giuseppe Cristiano, quattro anni e otto mesi per Francesco Di Chio, un anno per Leonardo Dimito, un anno e quattro mesi per Giuseppe Intini, quattro anni e dieci mesi per Nicola Perrini, quattro anni e nove mesi per Giuseppe Portulano, un anno e quattro mesi per Giovanni Rispoli, con il beneficio della sospensione della pena, due anni di reclusione per il tarantino Leonardo Taurino, e un anno e quattro mesi per Valeria Barnabà e Claudia Mingolla, entrambe con il beneficio della sospensione della pena.

Un verdetto che è giunto dopo le richieste di condanna del pm Alessio Coccioli e la raffica di arringhe del collegio di difesa composto dagli avvocati Nicola Cervellera, Armando De Leonardo, Raffaele Errico, Salvatore Maggio, Luigi Palmieri, Franz Pesare, Gianluca Sebastio, Giovanni Vinci e Gaetano Vitale. Da rilevare, la posizione di sette imputati per i quali è caduta la contestazione associativa. Nel caso del tarantino Leonardo Taurino, il pm aveva chiesto 16 anni di reclusione, in virtù del presunto ruolo di promotore. Una responsabilità che il giudice non ha ritenuto provata. Per questo per Taurino, che è assistito dall’avvocato Salvatore Maggio, è giunta la condanna a due anni di reclusione.

Tra gli imputati assolti dalla contestazione di associazione anche Nicola Perrini, difeso dall’avvocato Franz Pesare, e Giuseppe Portulano, assistito dall’avvocato Luigi Palmieri. Per loro il pm aveva chiesto pene più consistenti: rispettivamente 10 anni e otto mesi e sedici anni. Entrambi, invece, sono stati condannati a 4 anni e 10 mesi e 4 anni e 9 mesi. 
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