Ex Ilva, quattro anni fa il passaggio a Mittal. Ora c'è Acciaierie d'Italia. La situazione della fabbrica resta critica

Una veduta degli impianti di Taranto
Una veduta degli impianti di Taranto
di Domenico PALMIOTTI
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Mercoledì 2 Novembre 2022, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 02:18

Quattro anni fa come ieri Ilva cambiava nome e nel gruppo siderurgico che in origine era appartenuto allo Stato, la vecchia Italsider, poi al privato (Riva) dal 1995 ai primi mesi del 2013, e poi di nuovo allo Stato attraverso i commissari dell’amministrazione straordinaria, entrava la multinazionale ArcelorMittal.

La storia

Leader mondiale nell’acciaio, Mittal, attraverso AM Investco Italy, aveva vinto la gara per l’acquisizione degli asset battendo la concorrenza di Acciaitalia, cordata con Jindal e altri partner guidata da Lucia Morselli. Quest’ultima a ottobre 2019 diverrà presidente e ad di ArcelorMittal Italia al posto di Matthieu Jehl, il manager francese che sino ad allora aveva guidato la società. ArcelorMittal ha preso le redini della gestione in fitto esattamente l’1 novembre del 2018 assumendo dall’intero bacino Ilva 10.700 dipendenti su circa 13mila, di cui 8.200 a Taranto. I non assunti furono lasciati a Ilva in amministrazione straordinaria e messi in cassa integrazione straordinaria a zero ore. Che tuttora continua. I 10.700 assunti furono l’elemento che a settembre 2018 permise di chiudere l’accordo con la multinazionale, che sino ad allora aveva offerto 10.300 assunzioni. Ad ingresso avvenuto, il 7 novembre del 2018 fu rimossa dall’esterno della direzione di stabilimento la vecchia insegna Ilva e sostituita con quella ArcelorMittal. Che nei primi mesi del 2021 verrà cambiata ancora con quella di Acciaierie d’Italia a seguito della formazione della nuova società e dell’ingresso dello Stato nel capitale attraverso Invitalia.

Le tappe e gli investimenti

Quelle citate sono solo alcune tappe fondamentali di una storia di quattro anni. Un tempo non lungo ma tuttavia ricco di colpi di scena, scontri a ripetizione, conflitti giudiziari, annunci rimasti sulla carta. Gli investimenti sono stati fatti dall’azienda. A giugno scorso Franco Bernabè, presidente di Acciaierie d’Italia, disse in un’audizione in Regione Puglia che negli ultimi tre anni sono stati investiti nell’ex Ilva di Taranto 1,1-1,2 miliardi di euro di cui 700 milioni riferiti alla sola parte ambientale.

Positivo e negativo

Anche la situazione economica aziendale è migliorata: il fatturato è passato da 1,618 miliardi del 2020 a 3,386 miliardi del 2021 mentre il margine operativo lordo è passato da un dato negativo del 2020 (155,277 milioni) ad uno positivo del 2021 (253,816 milioni). Ma si è aggravata, soprattutto negli ultimi mesi, la situazione del circolante, sempre più rarefatto. Nè l’azienda ha potuto contare sul credito bancario o sull’apporto di Mittal, che nel 2021 ha fatto uscire la parte italiana dalla corporate attraverso il deconsolidamento.

La crisi di liquidità

Uno stato critico, questo della liquidità, che è sotto gli occhi di tutti e che si traduce in mancati pagamenti: da big come Eni, che avanzano circa 300 milioni da Acciaierie d’Italia per la fornitura del gas, alle tante aziende dell’indotto (Confindustria Taranto ha dichiarato di attendere pagamenti per 100 milioni relativi a lavori delle imprese appaltatrici). 
Anche la produzione di acciaio non ha mai toccato i 6 milioni di tonnellate l’anno, che sono la soglia autorizzata sino alla completa attuazione degli interventi ambientali, e che l’ex Ilva annunciava già come obiettivo del 2019.

Il bilancio di sostenibilità che l’azienda ha presentato ad ottobre dice che la produzione è stata di 3,4 milioni di tonnellate nel 2020 e di 4,1 milioni nel 2021. Per quest’anno, invece, all’inizio era stato dichiarato un obiettivo di 5,7 milioni di tonnellate, obiettivo ribadito nel corso dei mesi, salvo poi arrivare ad una correzione di rotta come quella prefigurata sempre ad ottobre dall’ad Morselli, quando ha detto che “chiaramente l’emergenza gas riduce un pò la capacità produttiva perchè la quantità di gas va diminuendo”. Invece i costi della bolletta sono saliti vertiginosamente. A maggio Bernabè disse che si era passati da 20 a 100 milioni al mese. E ora che Eni ha chiuso i rubinetti (l’azienda sabato scorso ha dichiarato che “le relazioni commerciali con Eni sono improntate alla migliore e reciproca collaborazione e che Eni già dallo scorso giugno aveva comunicato a AdI di non essere disponibile a prolungare il servizio di fornitura oltre la data del 30 settembre 2022”), Snam starebbe assicurando l’approvvigionamento di gas. Ma sino a quando?

La produzione


Sulla produzione i conti finali si faranno a dicembre, ma appare davvero molto problematico che si possano centrare i 5,7 milioni di tonnellate con un altoforno su tre (il 2) ed un’acciaieria su 2 (la 1) fermi da luglio. E non da ora i sindacati parlano di risalita produttiva “fallita” nel 2022. Inoltre da metà 2019 ad oggi nello stabilimento di Taranto si è ricorsi senza interruzione alla cassa integrazione con varie tipologie (prima ordinaria, poi Covid, poi ancora ordinaria e da marzo scorso straordinaria per un anno) e con numeri crescenti. La cassa in corso riguarda un numero massimo di 3mila addetti di cui 2.500 a Taranto. A ciò si aggiunga che della platea dei cassintegrati di Ilva in as - i non assunti da Mittal per intenderci, nel frattempo scesi a circa 1.600 -, nessuno è rientrato al lavoro malgrado le promesse e quasi certamente nessuno rientrerà. Il che vuol dire che attorno alla fabbrica oggi ruotano circa 4mila cassintegrati complessivi.

Il futuro


Se questo è lo scenario, cosa c’è da attendersi nelle prossime settimane? I sindacati parlano di “fabbrica ferma” e di “situazione stagnante” e aleggia l’ipotesi che per l’emergenza gas possano essere fermati altri impianti. 
A Taranto i parlamentari eletti a settembre sono stati invitati da Fim, Fiom e Uilm ad un confronto il 14 novembre (è la riunione inizialmente fissata per il 4 poi riprogrammata), ma è chiaro che si attendono le mosse del Governo e soprattutto del nuovo titolare del Mise, il ministro Adolfo Urso. Che per la Fim Cisl avrebbe già fatto un primo esame dei dossier Taranto e Piombino (qui c’è Jindal). Una decisione a breve è attesa sul miliardo di euro che col decreto Aiuti Bis il Governo ha messo nelle mani di Invitalia. Servirà, come vorrebbe l’azienda, ad iniettare liquidità o sarà invece usato, come avrebbe voluto fare Mario Draghi, anche ad un aumento di capitale e quindi ad un ruolo più incisivo dello Stato? Stato che oggi è minoranza in Acciaierie d’Italia in quanto, per il mancato dissequestro degli impianti, è saltato ed è stato rinviato di due anni il passaggio al 60 per cento del capitale che sarebbe dovuto avvenire entro maggio scorso. 

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