«Copriamo i parchi minerali»
ArcelorMittal svela i piani per ambientalizzare l’Ilva

«Copriamo i parchi minerali» ArcelorMittal svela i piani per ambientalizzare l’Ilva
di Tiziana FABBIANO
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Mercoledì 29 Marzo 2017, 06:15 - Ultimo aggiornamento: 19:48
La copertura dei parchi minerali è compresa nel miliardo e cento milioni di euro. Cioè nella somma di investimenti per l’ambiente che ArcelorMittal, in cordata con Marcegaglia, mette sul piatto per una produzione che abbatta le emissioni di Ilva in aria ed acqua. La società, che prende il nome di “Am Investco Italy”, è in gara per acquisire il gruppo siderurgico contro un’altra cordata, la AcciaItalia, guidata dall’indiana Jsw steel con Arvedi e Cassa Depositi e prestiti.
Ieri, a Taranto, in una conferenza stampa, ArcelorMittal ha incontrato i giornalisti e illustrato altri dettagli dell’offerta per Ilva. Carl De Maré, responsabile delle nuove tecnologie, e Nicola Davidson, capo della Comunicazione di ArcelorMittal, hanno in particolare puntato sul modello di fabbrica che la maggiore produttrice d’acciaio del mondo propone per Taranto. Uno stabilimento che non inquini più, con laminatoi altamente specializzati e un’area a caldo che produca gli attuali sei milioni di tonnellate annue di acciaio nel rispetto delle migliori tecnologie disponibili sfruttando altri 4 milioni di tonnellate di bramme che arriveranno nel porto di Taranto da altri stabilimenti di ArcelorMittal. Dieci milioni in tutto. In una seconda fase, ad Aia completata, la riattivazione dell’altoforno numero 5 potrà portare le acciaierie fino a 8 milioni di tonnellate con l’importazione di 2 milioni di bramme da lavorare qui.
La sede italiana di ArcelorMittal. Ieri, a Taranto, ArcelorMittal ha annunciato anche un’altra decisione. Se Am Investco Italy vincerà la gara, la compagnia ha intenzione di concentrare a Taranto il quartier generale della compagnia per l’Italia. «A Milano avremo un gruppo vendite, a Taranto invece terremo tutto il management, gli uffici, non solo per lo stabilimento ma per l’intero gruppo italiano», dicono Davidson e De Marè. «Noi facciamo sempre così: dove c’è il motore, lo stabilimento più importante, ci deve essere il nostro management al completo», affermano i manager. Una prassi consolidata per ArcelorMittal che per Ilva sarebbe invece una novità: sia come Italsider, sia con la privatizzazione del gruppo Riva, fino all’attuale commissariamento, il “cervello” delle società è sempre stato tra Roma e Milano, relegando a Taranto il ruolo di braccio operativo.
L’ambiente e le nuove tecnologie - A partire dalla copertura dei parchi minerali, Davidson e De Maré sostengono che gli interventi di miglioramento ambientale riusciranno a rendere lo stabilimento compatibile con la città. Una sfida più che mai ardua perché, nonostante Taranto e Gand (la fabbrica belga che è il fiore all’occhiello della compagnia in Europa) abbiano caratteristiche simili e siano state entrambe costruite negli anni Sessanta, in riva allo Jonio si è ancora molto indietro. «Abbiamo notato che c’è un grosso ritardo in Ilva», dice De Marè riferendosi agli interventi impiantistici per l’abbattimento di emissioni in atmosfera. Insomma in Belgio si è intervenuti gradualmente e gli obiettivi sono già stati raggiunti. Così si può sperimentare. Come l’impianto che, sempre a Gand, ArcelorMittal ha avviato per la trasformazione dei gas d’altoforno in bioetanolo. Avviato nel 2015 su scala industriale, sarà completato nel 2019 in Belgio e, per quella stessa data, la compagnia vorrebbe avviarlo anche a Taranto. Lo “Steelanol” è un programma - che viene realizzato in partnership con la neozelandese società Lanzatech - che consente di recuperare il gas prodotto nell’altoforno e di riciclarlo in combustibile: durante la produzione viene catturato e invece che bruciato il gas viene unito all’acqua e ai microbatteri che eliminano l’anidride carbonica. Si ottiene così bioetanolo: quello in produzione a Gand è in grado di alimentare 100mila automobili. Con un doppio vantaggio: si riduce l’emissione di Co2 sia dal processo siderurgico sia con dalle città con l’alimentazione delle auto a bioetanolo. «Ecco perché l’Europa sostiene fortemente questo progetto». De Marè ha spiegato anche altri approcci al tipo di produzione Lis, low impact steelmaking, a basso impatto. Uno di questi è l’iniezione di plasma: il gas degli impianti siderurgici viene riciclato negli altiforni per ridurre il consumo di carbone/coke utilizzando la tecnologia della torcia al plasma. Con le attuali tecnologie già attive a Gand (sei milioni di tonnellate circa annue in Belgio, a ciclo integrale) «dopo il coke si è iniziato a introdurre nell’altoforno direttamente il carbone. Con circa il 20% di emissioni in meno rispetto alla nostra precedente produzione, per tonnellata di acciaio», ha spiegato. Rispetto all’attuale produzione di Ilva, si stima invece una riduzione del 36% di Co2 con la produzione Lis di ArcelorMittal.
Innovazione ma non soltanto. Per gli altri reparti dell’area a caldo - quelli che nel 2012 furono posti sotto sequestro dalla magistratura a causa dell’impatto inquinante - ArcelorMittal intende applicare tecnologie già collaudate (come ad esempio i filtri di ultima generazione) negli altri stabilimenti del gruppo. Mantenendo una costante produzione a sei milioni di tonnellate, per la prima fase, si potranno adottare gli interventi necessari. «Le nostre pratiche operative sono stringenti», dice Carl De Marè a proposito, per esempio, dell’inquinamento delle cokerie. «Il monitoraggio delle cokerie è in continuo e non abbiamo emissioni impattanti in atmosfera, come previsto dalle norme». Anche sulla diossina tranquillizza: «Da circa dieci, dodici anni, realizziamo l’iniezione diretta di carbone attivo che attira le diossine, poi trattenute assieme alle polveri dai filtri. Però vanno realizzati i filtri più innovativi che poi devono essere oggetto di manutenzione. Occorre cioè attenzione e investimento costante, un team di esperti che è in grado di applicare le tecnologie, oltre a un monitoraggio in continuo delle emissioni. Ma questo vale per tutto lo stabilimento».
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