Gigi Riva, Rombo di tuono non c'è più: è e sarà una idea di libertà

Gigi Riva, Rombo di tuono non c'è più: è e sarà una idea di libertà
Gigi Riva, Rombo di tuono non c'è più: è e sarà una idea di libertà
di Marco CIRIELLO
4 Minuti di Lettura
Martedì 23 Gennaio 2024, 07:10 - Ultimo aggiornamento: 24 Gennaio, 15:23


Gigi Riva è stata la forma più bella incarnata dal No. La seconda forma più bella del No è un quadro di Mario Schifano, che gocciolando mette radici. Le sembianze da dio greco in short, come cantava Raffaella Carrà, facilitarono il compito? Forse sì, ma di più hanno fatto i gol, e prima dei gol la maglia del Cagliari indossata e non più tolta, se non per la maglia della Nazionale.

Da questa cocciutaggine è facile capire Franco Zeffirelli e Anna Magnani che si innamorarono cinematograficamente o Fabrizio De André che gli regalò una chitarra, come a dire sei quello che canto; eppure Gigi Riva rimane una risposta semplice e di opposizione, la più bella su un campo di calcio.

Un eversore silenzioso. Nessun altro calciatore ha meglio incarnato l'«avrei preferenza di no» che il Bartleby di Herman Melville dice a Wall Street e Gigi Riva alla Juventus e al calcio italiano, scegliendo di rimanere "Hud il selvaggio" come lo chiamavano i compagni di squadra del Cagliari, paragonandolo al Paul Newman protagonista del film.

Rombo di tuono

E i paragoni negli anni sono stati tanti: da eroe risorgimentale per Luciano Bianciardi a Superman per tutti i bimbi, ma soprattutto "Rombo di tuono" come lo battezzò Gianni Brera, un nome da indiano, un calciatore selvaggio capace di sfondare qualunque difesa e segnare in ogni modo. Era dolce e cocciuto, troppo presto orfano, un corpo prestato al calcio italiano di cui era il vero, autentico mito, pagato con due infortuni pesantissimi in Nazionale i suoi 35 gol sono imprendibili da cinquanta anni, come era stato imprendibile lui, fuori e dentro il campo, scegliendo la Sardegna per autoisolarsi, e divenendone un simbolo. Nelle case dei contadini sardi c'erano Antonio Gramsci, Enrico Berlinguer e Gigi Riva, che dei tre era l'unico ad aver reso reale una utopia, lo scudetto al Cagliari, nel 1970. Per Riva i latitanti sardi andavano allo stadio, per Riva, il bandito più famoso e temuto di quegli anni Graziano Mesina si travestiva, da frate o donna, per poterlo vedere segnare, perché Riva ha incarnato il riscatto di tutti i sardi, a cominciare dalle donne che lo amavano in ogni forma. Dai minatori ai pastori, Riva era l'idea che li univa, segnando e non abbandonandoli, segnando e rendendo il Cagliari per novanta minuti una squadra che annullava distanze geografiche e di classe, economiche e culturali.

Perché Riva era, è, e sarà una idea di libertà, come canta Piero Marras crescerà la solidarietà. Per mille anni e mille ancora continuerà ad essere l'idea di salvezza e opposizione, di un ragazzo, ragazzo per sempre, che ai soldi preferisce il contesto, che alla gloria, ai titoli, preferisce la semplicità. Non è un caso che fosse amico di operai, pescatori, contadini, come che fosse ambito da cantanti e scrittori, perché Riva aveva dribblato tutto, aveva lasciato "la roba" per la palla, per questo non dedicava mai i gol a nessuno, perché era un uomo solo, avrebbe voluto che sua madre Edis e suo padre Ugo un romanzo di De Amicis lo avessero visto segnare con la Nazionale, per questo si è portato dietro questi fantasmi, fino a farne una depressione gassmaniana. Perché come Vittorio Gassman era in ogni parte della nostra storia e ci stava da protagonista: suo il gol alla Jugoslavia nella seconda finale dell'Europeo del 1968 a Roma, illuminato da mille fiaccole olimpiche di carta; suo il gol più bello nella partita del secolo il vecchio Novecento quella Italia-Germania a Città del Mexico del 1970, il tre a due sui tedeschi, con un dribbling d'esterno che incarna tutta la sinuosità e l'eleganza che si può richiedere a un attaccante, suoi i gol che diedero lo scudetto al Cagliari, una impresa che con gli anni diventa ancora più grande. Riva era il Carlo Petrini del calcio, lo slow thinking applicato alla vita frenetica dei calciatori, al lusso, all'accumulo, al salto continuo in nome dei record, i suoi sono arrivati mentre si sottraeva, mentre si lateralizzava sempre di più. L'ultimo No l'hanno raccontato Francesco Totti e Gigi Buffon, mentre l'Italia festeggiava a Roma il mondiale appena vinto nel 2006, quando sul pullman salirono persone che non gli piacevano, che avevano avversato quella Nazionale che era stata travolta da Calciopoli, prese il suo trolley e silenzioso scese, così, mentre il calcio e la Nazionale andavano al Circo Massimo, lui controcorrente se ne tornava a Cagliari. Un altro no, da aggiungere agli altri. In direzione contraria, come ha vissuto, con lo straniamento dei naufraghi.

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